Cultura

Fabrizio Gifuni inaugura la nuova stagione del Palacongressi Festival

E' gia andato in sold out lo spettacolo "Con il vostro irridente silenzio"

Pubblicato 3 mesi fa

È già andato in sold out lo spettacolo “Con il vostro irridente silenzio”, di e con Fabrizio Gifuni, uno degli attori più stimati ed affermati del panorama italiano, teatrale e cinematografico. Sarà lui ad inaugurare mercoledì 31 gennaio 2024 “Una Nuova Stagione” del Palacongressi Festival. È autore e interprete di uno spettacolo palpitante e commovente, che fa riflettere e toglie il fiato: fa rivivere, coinvolgendo il pubblico, una tragedia attraverso gli occhi della vittima. Per la prima volta in scena ad Agrigento porterà “Con il vostro irridente silenzio”, un imperdibile studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro. Una pagina di storia in cui immergersi, scelta dal Direttore del Parco Valle dei Templi, Roberto Sciarratta e dal Direttore artistico della rassegna, Gaetano Aronica, per il battesimo ufficiale di “Una Nuova Stagione” di teatro di prosa, colto e ricercato. Fabrizio Gifuni, stella del firmamento teatrale, figlio illustre di questa terra, con origini siciliane (agrigentine) e pugliesi, dagli anni 2000 è ideatore e interprete di numerosi spettacoli.

Per l’interpretazione di Aldo Moro nel film di Marco Bellocchio “Esterno notte”, Gifuni, è risultato vincitore nel 2023 di tutti i principali riconoscimenti della stagione: David di Donatello come miglior attore protagonista, Nastro d’Argento – grandi serie, Premio Vittorio Gassman, Premio Elio Petri, Premio Flaiano e Pellicola d’Oro.

Mentre cresce l’attesa per un evento straordinario, con tappa unica in Sicilia, Fabrizio Gifuni si è raccontato al pubblico agrigentino, ripercorrendo la sua carriera e mettendo a nudo le sue emozioni.

“Il teatro – ha detto – ha avuto e ha un ruolo assolutamente centrale nella mia vita. La mia passione e il mio amore per questo lavoro sono tutti legati al teatro. Da ragazzo, e per diverso tempo anche dopo l’Accademia, non immaginavo neanche che avrei mai fatto film per il cinema o per la televisione, pensavo soltanto al teatro. E quindi quando è stato il momento di scegliere cosa fare nella vita, ho fatto il concorso all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio d’Amico di Roma, dove sono entrato nel 1989 e che fino agli anni ’70-’80 era l’unica scuola di recitazione di questo Paese. Poi nei decenni successivi sono nate altre scuole in Italia ma l’Accademia resta ancora oggi una scuola di grande eccellenza per chi vuole iniziare questo lavoro. Il saggio di diploma della mia classe nel 1992 sull’Amleto di Shakespeare con la direzione di Orazio Costa, fu rappresentato a Taormina 32 anni fa. Sono dunque legati alla Sicilia alcuni dei momenti più emozionanti dei miei inizi. La cosa abbastanza incredibile è che dopo tutti questi anni, a parte una lettura dantesca fatta al Teatro antico di Taormina, qualche anno fa per un festival letterario, è la prima volta che torno a recitare su un palcoscenico siciliano. In questo lungo periodo, incredibilmente, mentre sono venuto tantissime volte in diverse città per impegni legati al cinema – per le riprese di un film, come quello su Pippo Fava a Catania – o a festival cinematografici o per i Nastri d’Argento a Taormina, è la prima volta che torno su un palcoscenico dell’isola e questo mi emoziona molto e credo che sia un fatto che carichi ancora di più questo appuntamento di Agrigento di un significato speciale, almeno da parte mia, e spero anche da parte del pubblico. Insomma questo invito che ho accettato con grande piacere viene anche a colmare una assenza troppo lunga.

Il teatro, dicevo, è stato centrale e ancora oggi lo resta. Io non riesco a stare troppi mesi senza salire sul palcoscenico e quindi ogni anno riservo uno spazio solo al teatro, perché è il luogo dove respiro meglio e penso che in questo momento più che mai i teatri siano luoghi di cui vada protetta una certa loro sacralità. Sono recinti sacri, dove è ancora ancora possibile il silenzio, l’ascolto, la condivisione di un’esperienza reale che passa attraverso corpi vivi non riproducibili, dove si può vivere qualcosa che è molto difficile se non impossibile vivere in altri luoghi delle nostre città. Ma allo stesso tempo i teatri dovrebbero essere sempre ‘piazze aperte sulla città, polmoni verdi indispensabili al territorio.

“Con il vostro irridente silenzio” è un ‘oggetto teatrale non identificato’ come molti dei miei lavori, io lo definisco un “esperimento scenico”, perché è simile a un esperimento scientifico che faccio ogni sera con i cosiddetti spettatori, che in realtà non sono mai semplici spettatori, ma sono i ‘rappresentanti della città’, in questo caso della città Agrigento o dei paesi vicini, che arrivano in teatro per partecipare attivamente a questo piccolo rito.

Lo spettacolo consiste nel cercare di capire se questa specie di meteorite che viene da un altro tempo e da un altro spazio, che sono le parole e le carte di Aldo Moro, scritte nei 55 giorni di prigionia, siano ancora in grado di produrre una emozione, una temperatura, un campo magnetico capaci di toccare profondamente i nostri corpi. In questo consiste l’esperimento che faccio sera per sera da cinque anni, dalla prima volta che feci la prima lettura pubblica di queste carte, a 40 anni esatti dal ritrovamento del corpo di Moro, il nove maggio del 2018 per l’inaugurazione del Salone internazionale del Libro a Torino. E da quel giorno ho continuato a farlo girando tutta l’Italia, ogni volta con un coinvolgimento fortissimo da parte del pubblico, perché quegli anni e quell’Italia sono solo apparentemente lontani, ci appaiono consegnati a un passato estremante distante, come se non avessimo più a che fare con quel passato. E invece riattivando quelle parole ci si rende conto di quanto quel passato sia estremante vicino e quanto quello che accade oggi sia profondamente legato a quello che è accaduto ieri. Quindi è un viaggio nella memoria, ma una memoria attiva, una memoria che passa attraverso i corpi vivi delle persone”.

Al Teatro del Palacongressi ci saranno molti giovani. “Inizio lo spettacolo con un prologo in cui racconto la storia di queste carte e molto sinteticamente la storia di quegli anni, proprio per dare la possibilità a chi non c’era o non lo ricorda, a un ragazzo di 15-18 anni, di entrare in questa storia, di non sentirsi escluso, di non sentirsi distante, come se queste cose fossero accadute chissà quanto tempo fa. E devo dire che il teatro in questo è miracoloso, perché il teatro riesce a fare alcune volte qualcosa che la scuola fatica a realizzare: un coinvolgimento emotivo. Oltre tutto i programmi scolastici difficilmente arrivano al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. In genere non si parla mai di tutta quella stagione che inizia nella seconda metà degli anni ‘60. Ci vogliono insegnanti molto appassionati, e ci sono, che magari tengano delle lezioni specifiche su argomenti della nostra storia contemporanea. Ma normalmente gli studenti delle superiori restano tagliati fuori da quel periodo storico. Questo prologo serve anche a loro, ma non solo a loro, per entrare in questo racconto.

Il teatro è sempre la casa dei fantasmi e in questo spettacolo accade in qualche modo che si materializzi un fantasma della nostra storia. È come se il fantasma di Aldo Moro e la presenza fantasmatica di quelle carte, si materializzassero davanti a noi. Il mio corpo è un tramite, è un piccolo rito che si compie. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se quel fantasma tornasse davvero oggi per chiedere che le sue parole, accolte nel 1978 da un irridente silenzio, venissero finalmente ascoltate. E il teatro quando torna a sfidare certe profondità torna a una delle sue dimensioni originarie, una dimensione tragica che ha a che fare col mistero dell’uomo. Siamo vicino come spirito a quel teatro che in tanti meravigliosi teatri antichi della Sicilia, come in Grecia, si faceva al tramonto: un rito di comunità. I cittadini andavano verso sera in un luogo ad assistere, a partecipare, ad un racconto che in qualche modo li avrebbe cambiati e questa dovrebbe essere sempre la grande sfida del teatro: che gli spettatori possano uscire dal teatro un po’ cambiati rispetto al momento in cui sono entrati in quel luogo. Quando questo non accade il teatro resta un’occasione persa, che si dimentica in fretta”.

Fabrizio Gifuni ha un legame con Agrigento, che si prepara a diventare Capitale Italiana della Cultura 2025. “Agrigento – conclude l’attore – è parte delle mie radici familiari. Mio nonno, il papà di mia madre, di cui conservo ricordi, era originario di Grotte. Quindi recitare ad Agrigento sarà anche un ritornare in un luogo a me caro, che fa parte delle mie radici profonde, che da una parte sono radici siciliane, agrigentine, e da una parte, quella paterna, sono radici pugliesi. E questo legame tra la Sicilia e la Puglia è anche il filo che lega Agrigento, e la Valle dei Templi, che sarà nel 2025 Capitale Italiana della Cultura, al lavoro che io sto facendo a Lucera, in Puglia, città candidata per il titolo del 2026, che nel 2025 sarà capitale regionale della Cultura”.

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