Favara

Processo Montagna: il traffico di droga a Favara tra dissidi interni e storie di mafia

E’ ripreso questa mattina, nonostante sia in atto lo sciopero della camera penale, il processo che si celebra con rito ordinario davanti la prima sezione penale del Tribunale di Agrigento scaturito dalla maxi operazione antimafia Montagna. Sei le persone che hanno scelto la via dell’ordinario, a differenza di ben 52 persone che sono a giudizio […]

Pubblicato 5 anni fa

E’ ripreso questa mattina, nonostante sia in atto lo sciopero della camera penale, il processo che si celebra con rito ordinario davanti la prima sezione penale del Tribunale di Agrigento scaturito dalla maxi operazione antimafia Montagna. Sei le persone che hanno scelto la via dell’ordinario, a differenza di ben 52 persone che sono a giudizio con il rito abbreviato: si tratta dell’ex sindaco di Sam Biagio Platani Santo Sabella; Giuseppe Scavetto, 50 anni di Casteltermini, e dei favaresi Antonio Scorsone, 54 anni, Domenico Lombardo, 27 anni, Calogero Principato, 28 anni, e Salvatore Montalbano, 27 anni.

Udienza dedicata al traffico degli stupefacenti che, secondo le indagini, sarebbe stato condotto da una banda di pusher a servizio di Cosa Nostra e che avrebbe avuto in Giuseppe Quaranta, a Favara, il vertice. In aula il racconto del luogotenente che, da quattro udienze, sta snocciolando ogni singolo passaggio dell’imponente attività di indagine condotta tra il 2013 ed il 2016.

Secondo quando emerso dall’attività investigativa il “colonnello” di Quaranta, nonché custode della sostanza stupefacente, era Antonio Licata (a processo con il rito abbreviato) che avrebbe poi capeggiato un gruppo di pusher che operava a Favara e che comprendeva, fra gli altri, anche il figlio di Quaranta, Calogero Principato, Salvatore Montalbano e Domenico Lombardo. Quest’ultimo, figlio di Domenico Lombardo (ucciso in un agguato nel 1991 ma anche nipote di Gregorio e Salvatore Lombardo, che hanno gestito le latitanze dei boss Giuseppe Vetro e Giuseppe Fanara), avrebbe fatto parte di un gruppo “parallelo” che riusciva a rifornirsi di droga anche da canali esterni a quelli del Quaranta.

Indagini, come raccontato in aula, che hanno registrato frizioni fra i componenti: da un lato i singoli pusher che chiedevano maggiore autonomia e, spesso, non riuscivano a “rientrare” con i debiti; dall’altro l’allora referente Giuseppe Quaranta, oggi collaboratore di giustizia, che “richiamava” all’ordine i suoi pusher. 

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