Giudiziaria

Il Tar dá torto al Ministero dell’Interno: le informative antimafia non possono fondarsi su indizi vaghi e non attuali

P. G, titolare di  attività agricola non organizzata in forma di impresa, nell’anno 2012  richiedeva ed otteneva un contributo pari ad € 40.000,00, quale premio di primo insediamento a valere sulle misure  del Psr Sicilia 2007/2013. Senonchè, in relazione alla predetta concessione di contributo, su istanza  formulata dall’Ispettorato Provinciale Agricoltura, veniva resa nei confronti di […]

Pubblicato 5 anni fa

P. G, titolare
di  attività agricola non organizzata in
forma di impresa, nell’anno 2012 
richiedeva ed otteneva un contributo pari ad € 40.000,00, quale premio
di primo insediamento a valere sulle misure 
del Psr Sicilia 2007/2013.

Senonchè, in relazione
alla predetta concessione di contributo, su istanza  formulata dall’Ispettorato Provinciale
Agricoltura, veniva resa nei confronti di P.G una informativa interdittiva
antimafia, per asserita permeabilità mafiosa dell’attività agricola da lui
condotta. In forza delle risultanze del provvedimento interdittivo veniva
disposta l’immediata revoca del provvedimento di concessione del  premio di primo insediamento già concesso.

Avverso il
predetto provvedimento interdittivo l’imprenditore proponeva un primo ricorso
giurisdizionale innanzi al Tar Sicilia Palermo ad oggi pendente nel merito. Nelle
more del giudizio, e a ben 6 anni di distanza dall’adozione del primo
provvedimento interdittivo, P.G,  anche
in ragione del lungo lasso di tempo intercorso dall’adozione della predetta
informativa interdittiva, e mosso evidentemente dall’intento di affrancarsi dal
pesante “marchio” di contiguità mafiosa inopinatamente impressogli, inoltrava, un’istanza
di aggiornamento dell’ informativa. E tuttavia, in riscontro alla predetta
richiesta di aggiornamento, veniva nuovamente confermato il giudizio di
contiguità mafiosa già reso nei confronti del P.G nell’anno 2013, con le stesse
argomentazioni che al tempo avevano fondato il precedente provvedimento
interdittivo; ciò  senza accertare se, in
effetti le circostanze fattuali allora accertate, fossero ancora attuali ed
esistenti, ed ignorando altresì  la
natura giuridica della ditta individuale richiedente l’aggiornamento, oltre che
l’attività dalla stessa svolta e soprattutto l’ammontare del contributo
richiesto.

Avverso tale
provvedimento interdittivo P.G ha proposto un nuovo ricorso innanzi al Tar
Sicilia Palermo sez. I con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Lucia
Alfieri chiedendone l’annullamento previa sospensione dell’esecuzione.

La difesa ha in
via preliminare evidenziato il manifesto difetto di istruttoria inficiante il
provvedimento interdittivo, stante l’insussistenza dei presupposti di legge per
l’avvio di una verifica antimafia, trattandosi di un’attività agricola non
organizzata in forma di impresa ed altresì di richiesta di un contributo il cui
ammontare era di gran lunga inferiore rispetto alla soglia pari ad euro 150.000
cui la normativa riconduce l’obbligo di chiedere la documentazione antimafia.

Secondo quanto
riportato nel ricorso, sarebbe stato acriticamente confermato il giudizio di
contiguità mafiosa già reso nei confronti del P.G nell’anno 2013 con le stesse
argomentazioni che al tempo avevano fondato il precedente provvedimento
interdittivo, senza verificare se, in effetti le circostanze fattuali al tempo
accertate, fossero ancora attuali ed esistenti, e soprattutto, cosa ancor più
grave,  continuando, ad ignorare la
natura giuridica della ditta richiedente l’aggiornamento, e l’attività dalla
stessa svolta. Ciò con  gravissimo  ed irreparabile pregiudizio per la vita
sociale ed economica di una ditta individuale, peraltro impegnata in un settore
del tutto avulso ed estraneo agli 
interessi della criminalità organizzata.

Gli avvocati Rubino
e Alfieri hanno documentato e dimostrato, nel ricorso proposto, la manifesta
infondatezza di tutte le presunte cointeressenze e/o compartecipazioni
attribuite al P.G in società asseritamente attinte da informative interdittive,
evidenziando, mediante apposita documentazione, l’inesistenza e l’inattività  di molte realtà societarie richiamate nel
provvedimento interdittivo, in tal modo di fatto comprovando la superficialità
e l’inadeguatezza di un’istruttoria che, proprio in quanto volta a decidere
della stessa esistenza in vita di un’attività economica, e proprio in quanto
condotta con l’ausilio di gruppi ispettivi specializzati, avrebbe dovuto essere
quanto più accurata possibile e dunque in possesso di tutti gli elementi idonei
a sgravare la posizione del P.G.

La prima sezione
del Tar Sicilia Palermo mostrando di condividere, ad un primo esame,  le censure mosse dagli avvocati Rubino e
Alfieri ha preliminarmente ritenuto l’informativa interdittiva verosimilmente
adottata su un erroneo presupposto normativo oltre che fondata su elementi
“inidonei da soli ad assurgere ad indizi della condizionabilità dell’impresa
individuale“; il giudice amministrativo ha in altri termini ribadito e sancito
il principio secondo cui le informative interdittive, proprio per le gravi
conseguenze ed il disvalore sociale che determinano non possono fondarsi su
elementi indiziari vaghi generici e peraltro non connotati dal requisito
dell’attualità, ma devono, al contrario, scaturire da un’attenta ed accurata
istruttoria volta a costruire un quadro indiziario connotato dal carattere
della concretezza e dell’attualità; ciò a meno 
di non voler pregiudicare irrimediabilmente la libera iniziativa
economica e la stessa vita sociale dei soggetti incisi dal provvedimento
interdittivo

Per effetto del
provvedimento cautelare reso dal Tar P.G potrà pertanto richiedere la
restituzione del contributo inopinatamente revocato dall’Assessorato regionale
agricoltura

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