Giudiziaria

La faida di Palma di Montechiaro, la parola alle difese: “Nessuna prova certa”

Dopo la richiesta di condanne (tra cui due ergastoli) la parola è passata alle difese degli imputati

Pubblicato 12 mesi fa

È ripreso ieri mattina, davanti la Corte di Assise di Agrigento presieduta dal giudice Giuseppe Miceli, il processo scaturito dalla tristemente nota faida di Palma di Montechiaro, una vera e propria guerra tra due famiglie sfociata in due omicidi tra il 2015 ed il 2017. Dopo la requisitoria del pubblico ministero, che nella scorsa udienza ha chiesto sette condanne e anche due ergastoli, la parola è passata alla difesa. Per oltre due ore gli avvocati Giovanni Castronovo e Antonino Gaziano hanno discusso le posizioni dei due principali imputati: Ignazio Rallo e Roberto Onolfo. Entrambi sono accusati dell’omicidio di Salvatore Azzarello. 

Durante l’arringa i legali della difesa hanno sostenuto che la tesi accusatoria sia soltanto una ipotesi investigativa e che, durante il dibattimento, non sono emerse prove certe che possano sostenere oltre ogni ragionevole dubbio che ad uccidere Azzarello siano stati Rallo e Onolfo. Per il collegio difensivo, al contrario, sono tanti i dubbi e poche le certezze. Di parere diametralmente opposto è invece la procura di Agrigento che, con il sostituto procuratore Gloria Andreoli, ha invece chiesto la condanna all’ergastolo dei due imputati. Il processo è ormai agli sgoccioli. Il prossimo 11 maggio discuteranno gli altri difensori, gli avvocati Santo Lucia e Walter De Agostino, mentre per il 25 maggio è attesa la sentenza. Nella scorsa udienza il pubblico ministero, a margine della requisitoria, ha avanzato le seguenti richieste di condanna: Ignazio Rallo (ergastolo); Roberto Onolfo (ergastolo); Giuseppe Rallo (2 anni); Pino Azzarello (3 anni, 1 mese e 10 giorni); Carmelo Pace (1 anno e 4 mesi); Giacomo Alotto (2 anni); Gioacchino Gaetano Burgio (2 anni); Francesco Orlando (1 anno e 2 mesi); Giuseppe Giganti (2 anni). Un’altra imputata – Maria Concetta Noemi Oteri – ha patteggiato.

L’inchiesta della procura di Agrigento ipotizza una guerra tra due famiglie innescata dal furto di un mezzo agricolo, commesso dai fratelli Ignazio ed Enrico Rallo nei confronti di Salvatore Azzarello, avvenuto nel 2013 a Palma di Montechiaro. Nel 2015 il primo delitto: Enrico Rallo viene ucciso di fronte al bar Mazza. La risposta arriva due anni più tardi quando un commando entra in azione e uccide Salvatore Azzarello nelle campagne di contrada Burraiti mentre si trovava a bordo del suo trattore. Ed è qui che si incrociano gli sviluppi investigativi di carabinieri e polizia: i primi stavano indagando sull’omicidio Rallo, i secondi su quello di Azzarello. Le cimici istallate e i telefoni sotto controllo rilevano quella che in un primo momento appare una casualità ma che poi diventerà un solido elemento accusatorio: ogni qualvolta si parla dei due omicidi i dialoghi si concentrano sui Rallo e sugli Azzarello. Da qui ulteriori riscontri che “blindano” il caso: un telefono cellulare e alcuni walkie-talkie che erano stati rubati dal pick-up utilizzati per l’omicidio vengono ritrovati nelle disponibilità di Onolfo. Durante il processo il numero degli omicidi sale a tre. Lo scorso 31 ottobre, qualche mese dopo essere stato scarcerato, viene ucciso Angelo Castronovo, 65 anni, bracciante agricolo. I killer lo freddano nelle campagne tra Palma di Montechiaro e Campobello di Licata. Castronovo, in questa storia, non era un personaggio qualunque. Era l’unico imputato a cui veniva contestata la partecipazione ad entrambi gli omicidi. Secondo gli inquirenti Castronovo avrebbe fissato l’appuntamento fatale con Rallo nel 2015 non presentandosi e attirandolo nella trappola; sarebbe stato lo stesso Castronovo, quasi due anni più tardi, a informare Ignazio Rallo su dove trovare Azzarello.

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