Agrigento

Migranti: chiesti 21 anni di carcere per torturatore nigeriano

Ventuno anni di reclusione per associazione per delinquere di carattere transnazionale finalizzata a tratta di persone, sequestro di persona, violenza sessuale, lesioni personali gravissime, omicidio aggravato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sono stati chiesti dal pubblico ministero Luisa Bettiol nei confronti di Gift Deji, detto “Sofi“, nigeriano di 23 anni. Il giovane, due anni fa, fu […]

Pubblicato 5 anni fa

Ventuno anni di reclusione per associazione per
delinquere di carattere transnazionale finalizzata a tratta di persone,
sequestro di persona, violenza sessuale, lesioni personali gravissime, omicidio
aggravato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Sono stati chiesti dal pubblico ministero Luisa Bettiol nei confronti di Gift Deji, detto “Sofi“, nigeriano di 23 anni.

Gift Deji, detto Sofi

Il
giovane, due anni fa, fu fermato dalla Squadra
mobile
di Agrigento al Cara
Sant’Anna
di Isola di Capo Rizzuto: secondo il magistrato
della Dda, il nigeriano
“riconosciuto senza alcun dubbio dalle sue vittime”, sarebbe stato
uno dei componenti della cellula di criminali e torturatori che operavano in Libia all’interno del ghetto del
cosiddetto “Alì il libico“,
uno dei personaggi principali dell’inchiesta.

All’interno
di quella prigione nel deserto sarebbero stati tenuti tanti migranti in attesa
di partire per Lampedusa. “Gift
Deji
– ha detto il Pm della Dda di Palermoera uno dei
prigionieri ma ha accettato di diventare un torturatore, un componente
dell’organizzazione in cambio di un viaggio gratis. La sua non è stata una
scelta obbligata, altri si sono rifiutati”.

Il pm ha
chiesto ai giudici della Corte di assise
l’assoluzione per alcune singole ipotesi di violenza sessuale. Nella fortezza
dove i migranti, in attesa di intraprendere la traversata in mare per le coste
italiane, venivano privati della libertà e torturati per estorcere loro denaro,
Deji avrebbe torturato con scariche
elettriche, bastonate e colpi di pistola in testa i prigionieri che, se nessuno
di amici e familiari provvedeva al pagamento, venivano poi picchiati a morte.

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