Giudiziaria

“Minacce agli agenti nel carcere di Agrigento”, assolti 6 detenuti 

Erano accusati di aver minacciato e strattonato alcuni agenti della polizia penitenziaria del carcere di Agrigento per impedire loro di portare in isolamento due detenuti

Pubblicato 2 settimane fa

Erano accusati di aver minacciato e strattonato alcuni agenti della polizia penitenziaria del carcere di Agrigento per impedire loro di portare in isolamento due carcerati. Il giudice monocratico del tribunale di Agrigento, Fulvia Veneziano, ha disposto l’assoluzione “perchè il fatto non sussiste” nei confronti di sei detenuti. Si tratta di Rosario Moscato, 33 anni di Gela; Paolo Vitellaro, 33 anni di Gela; Antonino Capizzi, 51 anni di Palermo; Alfonso Fiammetta, 50 anni di Catania; Gaetano Licata, 41 anni di Santa Maria Capua Vetere; Pietro Flamia, 66 anni di Palermo. La vicenda risale al 2018.

I sei detenuti erano tutti reclusi nel carcere di Agrigento quando, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbero rivolto minacce ad un ispettore e ai suoi assistenti: “Ti scippu a testa e ci iocu a palluni pezzo di sbirro” oppure “Il suo collega ci ha mancato di rispetto e pertanto se lo vedo al reparto gli spacco la testa e gli faccio vedere come avviene una vera aggressione da parte dei detenuti”. Il tutto – sempre secondo la ricostruzione accusatoria – per evitare agli agenti di mettere in isolamento i gelesi Moscato e Vitellaro, ritenuti responsabili di gravi violazioni disciplinari.

Il tribunale, al termine del dibattimento, ha accolto le argomentazioni difensive degli avvocati Giovanni Castronovo, Salvatore Cusumano, Giuseppe Buongiorno e Cristina Alfieri ritenendo non emersa la prova di condotte qualificabili come resistenza a pubblico ufficiale. Nello specifico, l’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato l’erroneità della contestazione mossa dalla Procura della Repubblica di Agrigento poiché la sanzione disciplinare in questione venne regolarmente applicata nei confronti dei due detenuti. Inoltre, le minacce proferite da tutti i carcerati vennero esternate ad un soggetto diverso rispetto al reale destinatario facendo così venire meno la prova che le stesse fossero state realmente recepite con conseguente turbamento del medesimo. 

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