Già nel 1981 ci si accorse della ricorrenza della Fondazione di Agrigento, oggi siamo in ritardo
(Articolo di Agostino Spataro del giugno 1981 sul mensile Proposta) Ricorre quest’anno il 2500esimo anniversario della fondazione di Agrigento avvenuta nel 581°.A.C. ad opera di coloni Geloi a cui presto si unirono altri gruppi provenienti da Creta e Rodi. 25 Secoli di storia. Una ricorrenza davvero eccezionale, resa solenne dalla magnificenza delle vestigia residue delle […]
(Articolo di Agostino Spataro del giugno 1981 sul mensile Proposta)
Ricorre quest’anno il 2500esimo anniversario della fondazione di Agrigento avvenuta nel 581°.A.C. ad opera di coloni Geloi a cui presto si unirono altri gruppi provenienti da Creta e Rodi. 25 Secoli di storia.
Una ricorrenza davvero eccezionale, resa solenne dalla magnificenza delle vestigia residue delle diverse epoche, dai templi immortalati della civiltà dorica. Questa ultra bimillenaria città non si aspetta (in tale straordinaria circostanza che rischia di passare inosservata) i fasti di Persepolis con cui Reza Palhevi intese celebrare il 25° centenario della dinastia di Ciro il Grande, ma che almeno vengano salvati i resti di tanto patrimonio, a testimonianza per le generazioni a venire. E con il passato si salvi il presente di Agrigento, un tempo florida e potente, oggi emarginata e derelitta. Più che feste in città si ricordano oramai con una periodicità impressionante, anniversari di eventi calamitosi.
Nel calendario delle sventure oltre al 19 luglio 1966, la frana del dicembre 1976 che intaccò il costone orientale della collina dove si erge il Tempio di Giunone Lacinia. Nonostante le leggi e le pretese non è stato effettuato alcun intervento riparatore. La frana resta. Il senso tragico della decadenza di Agrigento lo colse anche Pirandello quando nei «Vecchi e i giovani» scrisse della sua città «Dominata in vetta al colle dell’antica cattedrale normanna… Girgenti era la città dei preti e delle campane a morto. Via Atenea, Rupe Atenea, via Ernpedocle… nomi, luce di nomi che rendeva più triste la miseria e la bruttezza delle case e dei luoghi».
Più di ieri l’antico centro-storico, vetusto e fatiscente, come un grande corpo anemico respira affannoso, ansimante, simile a vecchi fradici, cosi questa distesa di case di tufo, non importa se stemmate o plebee, sente vibrare dentro le viscere i germi del cancro fatale. Se la storia di questa città dovesse essere rappresentata da questo tipo di centro-storico se ne dovrebbe trarre la conclusione che trattasi soltanto di storia di miseria e d’indigenza. Invece così non è stato.
Fu storia di alternanze: di atti eroici ed infine viltà, di scienza e pestilenza, di fame ed opulenza. Oggi questa storia sembra andare avanti a senso univoco.
In una città dove tutto si sfascia e nulla si ricompone, dove il progresso, inteso come bene comune, stenta ad affermarsi, tutto può accadere e ciò che a prima vista può apparire irrazionale, se non s’inverte decisamente la rotta, qui può divenire «logico» svolgimento di un destino.
Il vero dramma di Agrigento sta nel fatto che l’alternativa alla paralisi è la speculazione e viceversa. Una terza via, quella dell’ordinato sviluppo e del progresso democratico, è risultata, fino ad ora, difficile da praticare per precise inadempienze e complicità dei pubblici poteri.
La nostra narrazione rischia di apparire improntata ad una eccessiva inclinazione pessimistica. No, davvero. Purtroppo in questo stato si trova Agrigento a distanza di 25 secoli dalla sua fondazione.
Questa città, la sua storia, le sue bellezze appartengono all’Italia e al mondo intero, è tempo che qualcuno, oltre gli agrigentini, si preoccupi della loro salvezza, per il loro futuro.
Per fortuna non tutto è perduto, qualcosa c’è da fare e presto. Lo Stato e la Regione devono trovare la forza per dominare le violenze e liquidare ogni inerzia, per vincere questa battaglia di grande valore morale, culturale e politico.
La vera festa che vorremmo si svolgesse per questa ricorrenza, è quella del risveglio della coscienza civile e democratica del paese per salvare quanto resta di tale inestimabile ricchezza, eredità di una civiltà millenaria.