Mafia

Depistaggio Borsellino, al via requisitoria: “Inquietante rapporto procura e servizi segreti”

"Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde"

Pubblicato 1 mese fa

“Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada”. E’ iniziata così la requisitoria del pm Maurizio Bonaccorso, applicato al processo, all’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. “C’è un incontro che avviene il 20 luglio – ha continuato Bonaccorso – all’indomani della strage, in cui c’erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull’agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali”.

Nel processo sono imputati, dinanzi alla Corte d’appello presieduta da Giovanbattista Tona, i poliziotti, ex appartenenti al gruppo di indagine Falcone Borsellino, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di aver imbeccato l’ex falso pentito Vincenzo Scarantino per costruire una falsa verità sulle stragi. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Bruno Contrada venne arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa il 24 dicembre del 1992. In primo grado fu condannato a 10 anni, ma la sentenza fu ribaltata in appello e il funzionario venne assolto.

“Ho parlato di rapporto singolare inquietante tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde per tre motivi: il primo perché questo rapporto era vietato per legge. Secondo il dottore Tinebra continuava in questi rapporti con il Sisde nonostante le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mutolo che parlava del magistrato Domenico Signorino e Bruno Contrada come vicini alla mafia. Terzo motivo: cosa ha portato il Sisde rispetto all’accertamento dei fatti per accertare le responsabilità nella strage di via D’Amelio? Nulla. Anzi porterà invece quella che sarà definita la vestizione del pupo”. Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso nella requisitoria nel processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio. Imputati per calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Il Sisde – continua Bonaccorso – anziché evidenziare quella che è la realtà dei fatti, cioè che Vincenzo Scarantino era un criminale di profilo bassissimo, cioè contrabbandava sigarette, fa una nota per attribuire una patente di mafiosità a Scarantino”.

“Nelle analisi delle anomalie delle indagini della Squadra Mobile il primo aspetto significativo è la collaborazione di Candura”. Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso durante la sua requisitoria nel processo sul depistaggio delle indagini sulla Strage di via D’Amelio, del 19 luglio 1992, che si celebra a Caltanissetta dinanzi la Corte d’Appello. “A Candura – continua Bonaccorso – si arriva attraverso una pista a mio modo di vedere singolare. Il 20 luglio verso le ore 13 viene rinvenuto sul luogo della strage un blocco motore. E si accerta subito che non era riconducibile a nessuna delle autovetture coinvolte nell’esplosione. Vengono fatti accertamenti e si nota che era abbinato a una Fiat 126 per la quale era stata sporta denuncia di furto dalla signora Pietrina Valenti. Cosa fanno? Intercettano la signora Pietrina Valenti per capire se è vicina ad ambiente criminali. E questa è una cosa che non ho mai capito. Perché si intercetta la vittima del furto. Cioè si parte dal presupposto che coloro che sono vicini alla strage possano aver utilizzato un’autovettura di loro proprietà. Queste intercettazioni non porteranno a nulla ma forniranno un’ulteriore tessera di quel mosaico che è il depistaggio”. Il pm ha poi ricordato due conversazioni intercettate tra Pietrina Valenti e la cognata. “Nella prima conversazione Pietrina Valenti, commentando le immagini della strage, dice che quella è la sua auto. Nella seconda parla del sospetto che la macchina era stata rubata da tale Salvatore che verrà poi identificato come Salvatore Candura. Ma ai primi di agosto emerge una ipotesi a carico di Candura e del fratello e del nipote della Valenti, Luciano e Roberto Valenti per i reati di violenza sessuale e rapina. Ci dirà il teste Ricciardi che questo arresto che viene eseguito dalla Squadra Mobile era il pretesto per accertare delle responsabilità sul coinvolgimento nella strage di Via D’Amelio”. “Il 5 settembre – ha sottolineato il Pm – i tre vengono arrestati. Il 13 settembre Candura accusa Luciano Valenti del furto della Fiat 126 su incarico di Scarantino, a ottobre si accuserà lui stesso del furto della Fiat 126 su incarico di Scarantino. Oggi sappiamo che in realtà l’auto venne rubata da Vittorio Spatuzza e Vittorio Tutino su incarico di Graviano”.

“Non c’era nessuna buona fede. La squadra mobile e Arnaldo La Barbera quando si rapportarono a Salvatore Candura sapevano benissimo che quest’ultimo non c’entrava nulla con il furto della Fiat 126. E poi perché un soggetto che viene arrestato per violenza sessuale comincia a parlare di fatti così gravi autoaccusandosi di avere avuto un ruolo nella strage? Al 5 settembre del 1992 c’è un solo dato di cui dispone la Squadra mobile ed è la conversazione di Pietrina Valenti con la cognata, cioè la pista investigativa si basava sul nulla”. Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla procura generale al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. “Buona fede non ce n’era – ha aggiunto Bonaccorso – si stava spingendo Candura ad autoaccusarsi del furto della Fiat 126. Gli dicevano guarda che se non collabori ti becchi l’ergastolo, guarda che se collabori invece starai bene, con la tua famiglia. Poi a un certo punto siccome non ne vuole sapere viene picchiato”. (ANSA)

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