Apertura

Inchiesta Leonessa, colpo alla Stidda a Brescia: in manette tre agrigentini (vd)

Sessantanove arresti, sequestri per 35 milioni di euro e un centinaio di perquisizioni, per un totale di circa 200 indagati.  Sono questi i numeri della maxi operazione della Dda di Brescia denominata “Leonessa” che ha sgominato una cellula della Stidda operante in Lombardia. L’inchiesta, gemella a quella condotta dagli inquirenti siciliani stamattina denominata “Stella Cadente” […]

Pubblicato 5 anni fa

Sessantanove arresti, sequestri per 35 milioni di euro e un centinaio di perquisizioni, per un totale di circa 200 indagati.  Sono questi i numeri della maxi operazione della Dda di Brescia denominata “Leonessa” che ha sgominato una cellula della Stidda operante in Lombardia. L’inchiesta, gemella a quella condotta dagli inquirenti siciliani stamattina denominata “Stella Cadente” che ha portato all’arresto di 35 persone, vede coinvolti tre agrigentini. Si tratta di Salvatore Sambito, 38 anni di Palma di Montechiaro, a cui viene contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso; in manette (ai domiciliari) anche due fratelli originari di Sciacca a cui vengono contestati reati di tipo economico-finanziario: si tratta di Filippo Carlino, 42 anni, e Giuseppe Carlino, 46 anni.

Operazione Leonessa

Il quarto agrigentino, Giuseppe Vella, 66 anni di Licata, è invece finito nelle maglie dell’inchiesta siciliana “Stella Cadente”.

L’operazione denominata “Leonessa” è stata condotta dalla Squadra Mobile e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Brescia, con il supporto dello Sco della Polizia di Stato e dello Scico della Guardia di Finanza. “Grazie all’inchiesta della Procura di Brescia e della Procura di Caltanissetta sono emerse due organizzazioni criminali di stampo mafioso separate che operavano in autonomia”, ha rimarcato il procuratore di Brescia Carlo Nocerino dopo i 70 arresti operati nelle ultime ore. “Le indagini hanno fatto emergere la separazione tra le organizzazioni – ha proseguito Nocerino -. L’organizzazione bresciana peraltro ha fortemente respinto ad un tentativo di abbordaggio della Stidda gelese. In questo senso la cellula bresciana ha resistito manifestando l’intenzione di mantenere la propria l’autonomia di gestione”.

In sintesi, l’indagine della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza ha permesso di deferire persone sono state arrestate per associazione mafiosa, 15 soggetti per indebita compensazione, 18 per reati contro la Pubblica Amministrazione e 27 soggetti per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La stidda, organizzazione mafiosa che alla fine degli anni Ottanta in Sicilia si era militarmente contrapposta a Cosa Nostra rendendosi anche responsabile di efferati omicidi nei confronti di uomini dello Stato, nella sua versione settentrionale si è dimostrata capace di una vera e propria metamorfosi evolutiva sostituendo ai reati tradizionali nuovi business illeciti.

 L’organizzazione mafiosa, attraverso il supporto di colletti bianchi, ha permesso a una vasta platea di imprenditori di evadere il fisco per diverse decine di milioni di euro, cedendo crediti fiscali inesistenti con effetti distorsivi sull’economia reale ulteriormente condizionata dai reinvestimenti dei profitti illeciti conseguiti. L’enorme redditività del business ha determinato momenti di tensione con la cosca operante in Sicilia, il cui traffico di droga è stato inizialmente finanziato proprio dai proventi della vendita dei crediti fittizi. L’indagine ha, quindi, permesso di monitorare l’evolversi dei rapporti tra i due sodalizi che hanno, infine, siglato una vera e propria pax mafiosa, consapevoli, come affermato da uno degli indagati, che: “la guerra non porta a niente, mentre la pace porta a qualcosa”. La leadership della cosca settentrionale è stata assunta da un triumvirato composto da personaggi di elevata caratura criminale che già in passato avevano ricoperto ruoli di vertice nella stidda gelese e nelle sue proiezioni lombarde. Gli stiddari, mimetizzati nel nuovo ambiente operativo, hanno messo a disposizione degli imprenditori del Nord i propri servizi illeciti che consistevano nella vendita di crediti fiscali inesistenti utilizzati per abbattere il debito tributario. L’anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori era rappresentato dai “colletti bianchi”, i quali individuavano tra i loro clienti (disseminati principalmente tra Piemonte, Lombardia, Toscana, ma anche nel Lazio, Calabria, Sicilia) quelli disponibili al risparmio facile e che ora dovranno rispondere del reato di indebita compensazione di tributi.Nel breve arco temporale di un anno e mezzo, il gruppo criminale è riuscito a commercializzare crediti fiscali inesistenti per circa 20 milioni di euro, ceduti a imprenditori operanti tra i più svariati settori dell’economia.Pur cambiando business, gli stiddari hanno mantenuto le “antiche” modalità mafiose nel loro quotidiano agire. anche se “in giacca e cravatta”, sono rimasti fedeli ai comportamenti tipici della mafiosità, manifestando capacità di intimidazione nei confronti della concorrenza e di affiliati ritenuti inaffidabili, offrendo, in aggiunta ai crediti fittizi, protezione agli imprenditori che ne hanno fatto richiesta, estromettendo con violenza i partecipi delle società in cui avevano reinvestito i proventi illeciti. Le investigazioni hanno, inoltre, permesso di ricostruire le attività di reimpiego e riciclaggio, attuate attraverso società operanti, ad esempio, nei settori della consulenza amministrativa, finanziaria e aziendale, della sponsorizzazione di eventi e del marketing sportivo, del noleggio di auto, barche ed aerei, del commercio all’ingrosso, di studi medici specialistici, della fabbricazione di apparecchiature per illuminazione e della gestione di bar.Ecco, dunque, che le fonti di finanziamento illecito derivanti dai reati tributari diventano lo strumento per radicarsi nell’economia reale, come una vera e propria “metastasi” criminale che inquina l’ordine e la sicurezza economico-finanziaria. Il tutto a scapito della parte sana dell’imprenditoria costretta a soccombere a causa della concorrenza sleale della criminalità organizzata.L’indagine – oltre ai profili su scala nazionale – è stata anche una vera e propria lente d’ingrandimento sulla città di Brescia, consentendo di individuare dinamiche patologiche, focalizzarle, reprimerle.Oltre a quello, mafioso, infatti, sono emersi anche altri due filoni investigativi. Il primo riguardante il tradizionale settore delle fatture per operazioni inesistenti, per un ammontare complessivo di 230 milioni di euro. Il secondo riguarda alcuni imprenditori che elargendo mazzette e o favori a pubblici funzionari ottenevano significativi risparmi fiscali.

Operazione Leonessa (foto ilgiornaledibrescia.it)
0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *