Mafia

L’arsenale del clan e i “segreti” custoditi nel cellulare sequestrato in carcere 

I carabinieri in meno di sei mesi hanno messo le mani sugli arsenali del clan di Villaseta e di Porto Empedocle

Pubblicato 2 giorni fa

Le iniziali tensioni tra i clan di Villaseta e Porto Empedocle si erano risolte alla fine dello scorso anno con una vera e propria pax che garantisse stabilità nei rapporti e preservasse gli interessi comuni nel settore del traffico di stupefacenti. È quanto emerge dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo (coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Claudio Camilleri, Giorgia Righi e Luisa Bettiol) sfociata questa mattina nel terzo blitz dei carabinieri con il fermo di 13 indagati. 

Una vera e propria alleanza che ben presto si è trasformata in un sodalizio in grado dettare le proprie “leggi” con un controllo militare sul territorio. Per usare una frase tanto cara agli amanti delle serie tv sui narcos “plata o plomo”. Tradotto: o lavori con noi o ne subisci le conseguenze. Ed è quello che in sostanza è avvenuto tra Agrigento e Porto Empedocle negli ultimi sei mesi dove si è registrata una non indifferente escalation di episodi violenti nei confronti di chi non si “allineava” ai diktat delle cosche. Chi non pagava i debiti veniva minacciato anche con azioni eclatanti, chi spacciava in autonomia senza l’autorizzazione veniva intimidito con colpi di kalašnikov nelle attività e ai pusher che facevano di testa loro venivano bruciate le macchine. Per fare tutto ciò, ovviamente, ci vogliono uomini e armi e le cosche di Porto Empedocle e Villaseta possedevano entrambe le cose in quantità. 

Un primo arsenale, riconducibile al clan di Villaseta, è stato sequestrato lo scorso dicembre quando i carabinieri perquisirono il terreno di un insospettabile netturbino: due cartucce cal. 7,62, una pistola mitragliatrice, una pistola a tamburo Taurus, un revolver Smith & Wesson, un Revolver privo di marca e matricola, una pistola mono-colpo (cd. Penna-pistola), una granata con spoletta inserita e non ancora attivata; due caricatori vuoti per pistola mitragliatrice; un caricatore per pistola mitragliatrice completo di venti cartucce, un caricatore per pistola mitragliatrice da quaranta cartucce, con inseriti ventotto cartucce, diciannove cartucce cal. 22, sessantatré cartucce cal. 9×19 parabellum, trentasette cartucce cal. 38 special, due cartucce calibro 7,65 e quaranta cartucce calibro 9×19. 

Oggi, a margine dell’operazione che ha portato al fermo di 13 indagati, i carabinieri hanno messo le mani su una parte dell’arsenale riconducibile al gruppo degli empedoclini. Durante una perquisizione in un casolare abbandonato, ma riconducibile ad uno degli indagati fermati, i militari dell’Arma hanno rinvenuto un kalašnikov completo di due caricatori, migliaia di munizioni di vario calibro, un giubbotto antiproiettili, due caschi e anche 16 panetti di hashish. Una parte, come detto, delle armi a disposizione del clan. Dall’analisi del contenuto multimediale di un cellulare sequestrato in carcere a James Burgio lo scorso dicembre, infatti, sono stati estrapolati diversi file e immagini raffiguranti armi comuni da sparo ma anche armi d’assalto con alcuni degli odierni indagati che intenti a maneggiarle: due pistole, quattro fucili di assalto, una AK47, una mitraglia Skorpion, cartucce di vario calibro. 

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