Mafia nell’agrigentino, no al carcere per il boss Giovanni Derelitto
Il Riesame rigetta la richiesta della Dda di sostituire i domiciliari con la custodia in carcere ed esclude anche il ruolo di reggente della cosca di Burgio
No alla custodia cautelare in carcere ed esclusa anche la contestazione di essere ancora il reggente della famiglia mafiosa di Burgio. Lo ha stabilito il tribunale del Riesame con due distinti provvedimenti che riguardano Giovanni Derelitto, 74 anni, boss coinvolto nelle scorse settimane nell’inchiesta che ha fatto luce sul mandamento mafioso di Ribera e Lucca Sicula. Derelitto, dunque, resta ai domiciliari.
Il tribunale della Libertà si è pronunciato su due ricorsi: il primo avanzato dalla difesa dell’indagato, rappresentata dagli avvocati Teo Caldarone e Vincenzo Castellano; il secondo, invece, avanzato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che chiedeva la sostituzione della misura cautelare dei domiciliari con quella più afflittiva della custodia in carcere. Il Riesame, accogliendo parzialmente l’appello della difesa, ha escluso la contestazione mossa nei confronti di Derelitto di essere il reggente della famiglia mafiosa di Burgio. Il tribunale ha poi rigettato il ricorso della Dda di Palermo confermando così gli arresti domiciliari, misura ritenuta idonea, per il boss 74enne.
Giovanni Derelitto è stato arrestato insieme ad altre cinque persone nel blitz eseguito tre settimane fa dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento. L’indagine ha fatto luce sul mandamento mafioso di Lucca Sicula e Ribera, guidato dal boss Salvatore Imbornone, e sulle famiglie di Villafranca Sicula e Burgio. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Claudio Camilleri e Giorgia Righi, ipotizza anche l’interessamento delle cosche mafiose della zona (in particolare modo quella di Burgio guidata proprio dal Derelitto) nelle ultime elezioni a Villafranca Sicula. Per questo motivo negli scorsi giorni il sindaco Gaetano Bruccoleri è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso.
Agli atti diversi incontri tra il primo cittadino e il boss Giovanni Derelitto, personaggio noto nel panorama criminale agrigentino già a partire dalla fine degli anni ottanta. Il suo nome compare già nell’operazione Santa Barbara, prima vera inchiesta contro i clan della provincia. La prima condanna per mafia risale addirittura al 1998 per poi essere coinvolto nelle operazioni “Scacco Matto” ed “Eden” rimediando un’altra condanna a 15 anni di reclusione alcuni dei quali scontati in regime di 41bis.