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Mafia, stragi del 1992: “Attacco allo Stato deciso in una riunione a Castelvetrano”

C’era un piano della mafia per uccidere a Roma Giovanni Falcone e il ministro della Giustizia Claudio Martelli ma anche alcuni giornalisti. A raccontare i particolari della cosiddetta “missione romana” di Cosa nostra e’ stato il procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci nel corso della requisitoria al processo al boss latitante Matteo Messina Denaro, accusato […]

Pubblicato 5 anni fa

C’era un piano della mafia per uccidere a Roma Giovanni Falcone e il ministro della Giustizia Claudio Martelli ma anche alcuni giornalisti. A raccontare i particolari della cosiddetta “missione romana” di Cosa nostra e’ stato il procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci nel corso della requisitoria al processo al boss latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Il dibattimento si celebra davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta. “Nell’ottobre del 1991 – ha detto Paci – si tenne una riunione alla quale parteciparono Toto’ Riina, Matteo Messina Denaro, Mariano Agate, Vincenzo Sinacori e i fratelli Graviano. Nel corso di quella riunione Riina annuncio’ la volonta’ di lanciare un’offensiva per dare risposta a quella che ormai era una disfatta annunciata (l’esito infausto del maxi-processo) e i cui responsabili erano a suo parere il ministro Martelli, Giovanni Falcone e l’onorevole Lima. Fu una sorta di chiamata alle armi”. “Riina – ha raccontato il magistrato – avrebbe detto ai suoi ‘dovete andare a Roma’ . 

Nella Capitale ad aspettare i boss ci sarebbe stato Antonio Scarano, un calabrese che avrebbe dovuto dare un appoggio nel corso della cosiddetta “missione romana” per cercare gli obiettivi, che erano Falcone, Martelli, Maurizio Costanzo e altri giornalisti, tra i quali Andrea Barbato, Michele Santoro, Enzo Biagi e il presentatore Pippo Baudo. A Roma avrebbero dovuto prendere l’esplosivo.

La riunione di Castelvetrano dell’ottobre del 1991 e’ importante anche per una sorta di fratellanza, una impresa criminale che nasce, da quel momento tra Matteo Messina Denaro e i fratelli Graviano, in particolare Giuseppe, che si legheranno al punto che entrambi si scambieranno i luoghi di latitanza, ma soprattutto non c’e’ piu’ un momento che vede i due divisi da Matteo Messina Denaro nella strategia stragista. In tutti gli atti sono co-protagonisti. Anche il gioielliere Geraci ricordera’ che Messina Denaro regalo’ un girocollo da 50 milioni a Giuseppe Graviano. Passavano insieme anche le vacanze fino all’arresto dei Graviano che risale al ’94”. Lo ha detto il pm Gabriele Paci nel corso della requisitoria per il processo al super latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D’Amelio, che si celebra davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta.

Nitto Santapaola non aveva alcuna voglia di partecipare ad attentati eclatanti”, e i corleonesi puntarono su santo Mazzei per acquisire il consenso delle famiglie etnee di Cioasa Nostra. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, nel corso della requisitoria giunta alla quarta udienza, nel processo in cui il latitante Matteo Messina Denaro e’ imputato come mandante delle Stragi del ’92. “Cosa Nostra era un monolite di facciata ma all’interno era pieno di scricchiolii, che diventarono assordanti quando (Toto’) Riina mosse le sue truppe cammellate – ha detto il pm – per cercare il consenso nelle famiglie, non appena comprese che il Maxiprocesso non era influenzabile”. “L’omicidio del poliziotto Giovanni Lizzio (27 luglio 1992) servi’ per dimostrare che anche i catanesi avevano ucciso qualcuno in quei mesi. Subito dopo furono messe in giro delle voci sulla vita privata di Lizzio, quasi a dimostrare che lo stesso Santapaola volesse inoculare il concetto che la sua famiglia non autorizzava omicidi eclatanti contro uomini dello Stato”

Tanto che il procuratore aggiunto Gabriele Paci definisceuna partecipazione a tempi stretti” quella dei catanesi nelle Stragi del novantadue, evidenziando la figura di Santo Mazzei “personaggio inviso a Santapaola, che venne cooptato dai corleonesi proprio per creare confusione all’interno delle famiglie catanesi”. Durante la sua ricostruzione, Paci ha descritto i rapporti all’interno della commissione regionale di Cosa Nostra, citando le riunioni accertate anche dalla sentenza della corte d’Assise d’Appello di Catania sul processo Borsellino. Le dichiarazioni di Leonardo Messina furono confermati da un plotone di collaboratori di giustizia catanesi, come Maurizio Avola. Il riferimento e’ ad alcune riunioni avvenute ad Enna, tra la fine del ’91 e i primi mesi del ’92. 

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