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L’addio a Biagio Conte, una vita dedicata agli ultimi 

di Maristella Panepinto

Pubblicato 1 anno fa

C’erano gli ultimi e c’erano i primi ai funerali di Biagio Conte alla Cattedrale di Palermo. Un ossimoro ideale, che saltava all’occhio sull’istante. C’erano, nelle file centrali i suoi prediletti, i malati in carrozzina, molti dei quali poverissimi, oltrechè disabili, c’erano i “fratelli” di colore, i ragazzi della Palermo che fa ribrezzo, c’erano le suore della Missione Speranza e Carità, con il loro saio povero e gli occhi pieni di lacrime. C’era poi, dall’altra parte, la società che conta, quella che doveva esserci (prima ancora di voler esserci), debitamente separata da quel regno di ultimi tanto caro a Biagio Conte. Lui che pure poteva essere un primo, ma scelse di andare controvento. 

C’erano poi i preti, tanti da non poterli contare e le teste porporate, di Sicilia e d’Italia, almeno una ventina. A prendere parola per tutti, anche in questo caso, “l’ultimo”, padre Pino Vitrano, fedele compagno di viaggio di Conte. Suo confessore e amico, colui che ne ha colto l’ultimo respiro. Padre Vitrano, con la barba lunga e bianca, con i sandali logori sopra i piedi nudi. “Fratellino Biagio, dice tra i singhiozzi, tu per me eri fratello, padre ed anche madre. Eri tutto.”

Sul feretro, che tanto somiglia per nudità a quello degli ultimi Papi, il Vangelo aperto su quella pagina di Matteo, che é stata il comandamento di vita di fratel Biagio: “Avevo fame e mi avete saziato, sete e mi avete dissetato, ero nudo e mi avete vestito, ero carcerato e mi avete visitato.”

Oltre duemila le persone presenti in cattedrale  per salutare “l’eretico del bene”, come lo ha definito la giornalista Laura Anello, pennellandogli addosso la frase migliore.

C’era la folla, i cartelloni dei ragazzi che incitano a costruire un mondo migliore, ma c’era anche la compostezza, perfino negli applausi, nei canti e in quell’esclamare “santo subito”, senza enfasi, consapevoli che i santi in terra, gli ultimissimi, difficilmente scalano la vetta degli altari.

C’erano papà Giuseppe e mamma Maria, piegati dalla vecchiaia e dal dolore. Erano stati loro, tanti e tanti anni fa, a cercare il loro unico figlio maschio, l’erede della florida azienda di famiglia, scomparso nel nulla, addirittura appellandosi alla trasmissione “Chi l’ha visto”.Perché Biagio Conte era un sant’uomo, ma anche un ribelle, uno che aveva scelto di rompere le righe, a cominciare dalla bella vita alla quale era destinato, ma alla quale aveva rinunciato.  

Dall’oggi al domani. C’erano le sorelle Grazia e Angela, i cognati, le quattro nipoti, che con la foga della gioventù hanno letto una lettera intercalando pianti profondi a dichiarazioni d’amore per lo zio. Biagio Conte, che in questi anni pareva venuto dal cielo, uomo di tutti e di nessuno, figlio e fratello di chi gli capitava a fianco, oggi é stato pianto, dalla sua famiglia di sangue, quella alla quale aveva rinunciato, provocandogli di sicuro un potente dolore. Sono così le figure che spaccano, quelle che fanno la storia. Escono oltre i margini, scrivono fuori le righe.

“Biagio, eri povero, con i poveri e per i poveri!” Dice commesso l’arcivescovo Lorefice durante l’omelia. “Sul tuo esempio speriamo in una chiesa diversa, una chiesa povera. Sarà questo il sinodo di una chiesa nuova, di una Palermo nuova, con la temerarietà di certi santi folli, la stessa follia di Biagio, che oggi é accanto a Dio.”

Poi Lorefice fa una pausa, tira un respiro e inizia a singhiozzare. Parte l’applauso dei duemila presenti. Qualcuno, nelle prime file, quelle degli “ultimi” sussurra: “A Biagio sarebbe piaciuto questo funerale?”

Certo, oltre alla sostanza del dolore, c’è stata tanta forma, tanta “cerimonia”. Non mancava nessuno di quelle “autorità”, intese in senso molto ampio, alle quali Biagio Conte si era appellato tante volte. Oggi era il momento del saluto ufficiale, oggi era il grande giorno, così come grande é stato l’ultimo periodo di vita del missionario laico che, lo ricordiamo, é stato il primo a istituire a Palermo una missione umanitaria per gli ultimi in grado di accogliere oltre 2000 persone. Il solo grande benefattore povero, poverissimo della città. 

La storia di Biagio Conte, però, in questi trent’anni é stata fatta anche di delusioni, di spalle voltate, di sbadigli annoiati nelle stanze importanti. Lui andava avanti a suon di scioperi della fame e mortificazioni personali. Quante volte si é guardato a Biagio Conte come al “rompiscatole” della città? Quante volte, disfacendosi di paccottiglia accumulata in casa, si é detto, così per dire: “Mandiamola a Biagio Conte, perché loro prendono tutto.”

Perché oggi, la Missione Speranza e Carità é al centro del mondo dei primi, oltrechè di quello degli ultimi, ma fino a ieri era un posto commiserevole, dove era difficile varcare la soglia, se non per i volenterosi, perché laggiù, in via Archirafi e in via Decollati, vivono quelli che nessuno vuole, quelli che ora fanno ribrezzo e ora fanno paura.

Biagio Conte li ha accolti a braccia aperte, armato di quel sorriso così giocoso da sembrare quello di un bambino. Oggi gli ultimi sono stati i primi. Hanno applaudito quando il feretro, portato a spalla da sacerdoti e volontari, si é issato sulle teste della folla. Qualcuno pareva volere trattenere ancora fratel Biagio, con il timore, legittimo, che questo compagno fedele, che per vocazione di vita ha scelto di accogliere quelli che nessuno vuole, andando via, porti con sé tutto ciò che ha fatto. Così non deve essere. I primi dovranno ricordarsi ancora degli ultimi. Forse oggi avrebbero fatto bene, per cominciare, a mischiarsi a loro. Questo avrebbe voluto frate Biagio, questo, vogliamo pensare, sia il suo profondo testamento. 

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