Agrigento

Lello Analfino “fa stare bene” San Leone

Gustoso siparietto con l'ex iena Silvio Schembri

Pubblicato 2 anni fa

Per Agrigento è tempo di delirio, di incanto, di fiammeggianti emozioni, addirittura di lacrime, la fila dei sinonimi utilizzata dalle cronache è tutta esaurita per le star della musica che hanno omaggiato le genti del sud con la loro presenza.

Un omaggio non previsto neanche dai “Quaderni Meridionali” firmati da Giorgio Napolitano  ma che i giovani siciliani hanno pagato di tasca propria e anche con la paghetta di “babbi e nonni”, così, per non voler dire grazie a nessuno. 

Il concerto di Lello Analfino di  ieri sera a San Leone “fortemente voluto da Roberto Sciarratta, direttore del Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi è stata la prima occasione per Lello di cantare nella sua città alcuni brani del suo nuovo album “Punto e a capo”, in uscita il prossimo 9 settembre”.

Analfino ieri sera ha riempito il piazzale Giglia e ha trascinato tutti con l’irruenza che gli conosciamo. Anzi è stato più sciamano del solito mimando l’orango felice,  saltando sul palco  con movenze che manco Tarzan  nella foresta. 

La presunta fine del lockdown sta scatenando pubblico e star in una complicità reciproca e nonostante guerre e inflazioni, sembra essere diventata una sorta di esorcismo che il temperamento canoro di Analfino (gustoso il siparietto con l’amico di sempre, Silvio Schembri, inviato della trasmissione tv “Non è l’Arena” di Massimo Giletti) ha assecondato, anche se le parole e i versi delle sue canzoni insinuano caparbiamente  i simboli del malessere diffuso  in una città che lui vuol chiamare “92100”  che poi corrisponde ad una sigla postale ma potrebbe anche indicare la marchiatura di un lager.

Nonostante l’amaro calice Analfino arringa tutti e sollecita il pubblico a seguirlo nel suo percorso canoro “ehi, picciò voglio stasera un’Agrigento con le braccia alzate a battere le mani, da Pisciotto all’Aster, così indicando la destra e la sinistra di piazzale Giglia che risponde all’appello o forse obbedisce allo sciamano che  canta “Mi fai stare bene”, L’ambulante, U pisci spada, per citarne alcune, all’insegna di quello strano shakeraggio che lui chiama “sbrong” una sorta di personale genere musicale, un misto tra rock, pop folk, funk, rap e reggae.

Un modo anche per chiamarsi fuori dalla fine miseranda del rock e cantare una Sicilia impressa nei ricordi di intere generazioni, che emoziona a fior di pelle e torna alle radici. Quelle radici che vengono anche riviste o rimosse in una intervista che Analfino ha rilasciato al settimanale L’Espresso.

“Voglio uscire dalla mia comfort zone” e come diceva Pirandello, Agrigento è una città bellissima piena di difetti, isolata dal resto del mondo. Bisogna spingere sulle nuove generazioni. Sono abituato alla gente che mi applaude perché mi conosce, voglio tornare a suonare in un pub con trenta persone”.

Dove sicuramente troverà ad ascoltarlo un esponente della “Buttanissima Sicilia”, quel Pietrangelo Buttafuoco che Analfino ammira  e col quale potrà ragionarci sopra sul fatto che la sua Agrigento si trova ormai tra due fuochi: rigassificatore a Porto Empedocle e Centrale nucleare a Palma di Montechiaro.

Analfino le sa queste cose. Non le sapeva invece Elisa che al teatro Valle dei templi  ha parlato di ambientalismo.

Incautamente generalizzando e senza che nessuno le facesse notare lo strano destino che attende una Valle protetta dall’Unesco.

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