Interdittiva ad azienda, Tar annulla il decreto presidenziale
Si tratta del titolare di una ditta agrigentina del settore energetico
Il Tar del Lazio ha adottato una sentenza sulla tutela del principio di alternatività tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale, accogliendo la tesi proposta da D. C., titolare di una ditta agrigentina del settore energetico, attaverso gli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino. Il Tribunale ha dichiarato la nullità del decreto del presidente della Repubblica che aveva rigettato il ricorso straordinario relativo all’interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Agrigento nei confronti della ditta. L’interdittiva aveva determinato la risoluzione delle convenzioni stipulate con il Gse (il Gestore dei servizi energetici) e l’annotazione nel casellario informatico dell’Anac.
L’informativa, basata esclusivamente sui precedenti penali dell’ex marito della ricorrente – la donna è legalmente separata e l’ex non ha alcun ruolo nella gestione dell’impresa – aveva portato la ditta a proporre ricorso straordinario al capo dello Stato. Ma l’Autorità nazionale anticorruzione si era opposta, chiedendo la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale. Della vicenda si era così occupato il Tar di Palermo, accogliendo il ricorso di D.C. e annullando l’interdizione; ma l’amministrazione aveva erroneamente proseguito il procedimento straordinario, portando il Consiglio di Stato ad esprimere parere di rigetto e il presidente della Repubblica a emanare il decreto decisorio. Per queste ragioni la ditta ha proposto ricorso al Tar Lazio-Roma, deducendo la nullità del decreto del presidente della Repubblica per difetto assoluto di attribuzione (art. 21-septies della legge 241/1990), in quanto il decreto era stato adottato in carenza di potere, perché la controversia già era stata trasposta dinanzi al Tar Sicilia.
Il Tar Lazio ha rilevato che nonostante la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, quello straordinario è erroneamente andato avanti: A seguito della trasposizione, l’unica pronuncia consentita è quella del giudice amministrativo, a meno che questi ritenga inammissibile la domanda e disponga la rimessione degli atti al ministero competente. “La decisione – spiegano gli avvocati – è rilevante e conferma la rigorosa applicazione del principio di alternatività tra i rimedi di tutela e la nullità dei provvedimenti adottati in carenza assoluta di potere”. Il Tar Lazio ha condannato le amministrazioni costituite al pagamento delle spese di lite per 1.500 euro, oltre accessori di legge.






