“Anche senza violenza, il potere criminale non diminuisce”: no alla white list per azienda agrigentina
Un'azienda operante nel settore dell'autotrasporto aveva chiesto l'iscrizione nell'elenco ricevendo però un no della Prefettura. I giudici amministrativi: "Pervicace capacità della famiglia di governare il territorio di riferimento attraverso l’esercizio del potere mafioso".
La forza di intimidazione mafiosa persiste nel tempo anche in assenza di nuovi atti di violenza, grazie al “capitale criminale” accumulato dal gruppo familiare nel territorio di riferimento e quindi, in assenza di atti di dissociazione pubblici è legittimo non iscrivere nella white list l’azienda di una partente di persone controindicate.
A dirlo, in una recente sentenza, è il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, che ha confermato il rigetto dell’iscrizione all’elenco delle imprese che possono lavorare con la pubblica amministrazione per un’azienda operante nel settore dell’autotrasporto ad Agrigento. Il pronunciamento, emesso il 17 dicembre 2025, offre una profonda riflessione giuridica sulla natura del potere mafioso e sulla sua persistenza nel tempo.
Il nucleo centrale della decisione risiede nell’analisi del contesto familiare e relazionale della ricorrente, descritto dai giudici come un sistema a “gestione clanica”. La Prefettura di Agrigento, i cui atti sono stati confermati dal Tar, ha delineato un quadro di contiguità criminale estremamente denso. La ricorrente è figlia e sorella di soggetti condannati all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio e il gruppo familiare è ritenuto appartenente a un’articolazione periferica di spessore di Cosa Nostra.
Inoltre è emerso che un fratello della ricorrente, ritenuto vicino alla cosca di Porto Empedocle, partecipava attivamente agli utili e agli incrementi patrimoniali dell’impresa attraverso una scrittura privata di riconoscimento di diritti. La rete, inoltre, si sarebbe estesa alla cognata, nipote di soggetti condannati per estorsione e associazione mafiosa, arrestati in passato insieme a boss di assoluto rilievo.
Uno degli aspetti più innovativi della sentenza è la riflessione sul concetto di tempo applicato alla prevenzione antimafia: il collegio spiega che il fenomeno mafioso non può essere valutato solo per “punti isolati” nel tempo, ma va pensato in fasi distinte: una preparatoria, cioè il tempo necessario per creare un alone di intimidazione necessario alla configurabilità del reato di associazione mafiosa e una di piena operatività, condizionata dall’azione di contrasto dello Stato. Anche quando un clan appare annientato, dicono i giudici, può rimanere “quiescente” grazie al “capitale criminale” accumulato, rendendo superflua l’ostentazione della violenza poiché la fama criminale è ormai consolidata nel territorio.
“il tempo, inteso sia nella concezione greca di kronos, ovvero di collocamento di fatti lungo una linea retta in sequenza successiva, sia in quella sempre di tradizione ellenica di kairòs, ovvero di opportunità di cui un soggetto beneficia in un determinato istante o segmento temporale – dicono i giudici – sono concetti ben noti al diritto amministrativo e applicati – secondo la logica giuridica e non sociologica – in molteplici ambiti. Considerare, quindi, la misura del tempo esclusivamente con riferimento alla distanza tra i fatti alla base della misura di prevenzione antimafia e il momento applicativo della stessa è operazione parziale e pericolosa, in chiave di solidità dell’impianto prefettizio”.
Il Tar quindi ribadisce che per un’interdittiva antimafia non occorre la prova certa del condizionamento (tipica del processo penale), ma è sufficiente un giudizio prognostico basato sulla “probabilità cruciale”. Questo significa che il pericolo di infiltrazione è considerato sussistente quando questa ipotesi appare più probabile di tutte le altre spiegazioni logiche messe insieme.
Nel caso di specie, il fatto che la ricorrente non si sia mai dissociata sul territorio dai propri familiari pluripregiudicati è stato considerato un indice determinante di permeabilità dell’impresa ai tentativi di infiltrazione. Il tribunale ha infine escluso l’applicabilità della “prevenzione collaborativa”, riservato a casi di agevolazione mafiosa “occasionale”.
Data la natura strutturale e permanente dei legami familiari e degli interessi economici emersi, i giudici hanno ritenuto il provvedimento di rigetto della Prefettura come l’unico proporzionato a neutralizzare il rischio di inquinamento mafioso nell’economia legale.





