Agrigento

Agrigento, ripartono in tanti ma non tutti: il rischio è di non riaprire più

Da oggi possono riaprire circa 800 mila imprese in tutta Italia, ma il completo lockdown di aprile ha avuto conseguenze che il sistema economico italiano non ha mai sperimentato dopo la seconda guerra mondiale. Infatti, dopo la flessione del 30,1 per cento di marzo, nel mese scorso i consumi sono crollati, rispetto ad aprile 2019, […]

Pubblicato 4 anni fa

Da oggi possono riaprire circa 800 mila imprese in tutta Italia, ma il completo lockdown di aprile ha avuto conseguenze che il sistema economico italiano non ha mai sperimentato dopo la seconda guerra mondiale. Infatti, dopo la flessione del 30,1 per cento di marzo, nel mese scorso i consumi sono crollati, rispetto ad aprile 2019, del 47,6 per cento. Lo rivela uno studio di Confcommercio. Pochissimi i segmenti che sono riusciti a registrare un segno positivo (alimentazione domestica, comunicazioni ed energia), per molti altri, invece, soprattutto quelli legati alle attivita’ complementari alla fruizione del tempo libero, la domanda e’ stata praticamente nulla. Cifre quasi inverosimili che, purtroppo, testimoniano gli effetti derivanti dalla sospensione, non solo di gran parte delle attivita’ produttive, ma anche di quelle sociali e relazionali dirette. E la ripartenza, iniziata gia’ dopo Pasqua e in via di rafforzamento nella prima settimana di maggio, come risulta sia dai consumi giornalieri di energia elettrica che dalle percorrenze dei veicoli leggeri, si presenta ancora densa di difficolta’. 

Anche ad Agrigento, dunque, si riparte. In tanti già da questa mattina hanno alzato le saracinesche di bar, ristoranti e attività commerciali nella speranza di poter invertire la rotta che, come detto, a causa dell’emergenza sanitaria e del lockdown li ha fortemente penalizzati. Se in tanti guardano all’immediato futuro quantomeno con speranza e con la possibilità di un riscatto, esiste anche una importante fetta di attività produttive che – nonostante la fine del lockdown – rischia di non ripartire. Sono, ad esempio, molti i ristoranti del centro di Agrigento che terranno abbassate le saracinesche dei propri locali: le linee guida imposte per evitare la diffusione e l’impennata di un contagio inevitabilmente si scontrano con una realtà caratterizzata da affitti, spese fisse o investimenti effettuati prima della chiusura totale che, a fronte di un inevitabile calo della domanda, rischiano di mandarli ko ancora prima di ricominciare. 

Stesso discorso, forse in maniera più marcata, vale per i tanti locali della movida che non riapriranno almeno per un po’ di tempo: l’inevitabile calo delle persone in giro (non è detto che la fine del lockdown coincida necessariamente con la voglia frequentare posti per vocazione affollati) congiuntamente a spese di gestione e pagamento di affitti aumentano il rischio per molte attività di non vedere più la luce. 

Una situazione migliore, probabilmente, si registra a San Leone con molti ristoratori e commercianti che possono sfruttare – ad esempio – la possibilità degli spazi aperti di gran lunga superiori rispetto a quelli del centro cittadino.

Gli imprenditori intervistati da Fipe stimano un crollo del 55% dei loro fatturati a fine anno e questo si tradurrà in un minor impiego di personale, già a partire da domani. Secondo le stime, infatti, il numero dei dipendenti impiegati calerà del 40%, con 377mila posti di lavoro a rischio.

Secondo un’indagine effettuata nelle ultime ore dall’ufficio studi della Fipe, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, su un campione di 520 piccole e medie imprese del settore, il 70% circa dei pubblici esercizi, 196mila locali tra bar e ristoranti, sono pronti ad alzare le saracinesche già a partire da oggi.  A scalpitare sono in particolare i bar, maggiormente penalizzati da questi mesi di stop forzato. Per tutti quanti, la preoccupazione principale è quella legata alla sicurezza di clienti e dipendenti. Il 95% degli imprenditori intervistati, infatti, ha già acquistato le mascherine per il proprio personale, l’82% dei ristoratori è convinto che l’uso dei dispositivi di protezione sia essenziale, mentre il 94% ha già effettuato la sanificazione dei locali. Ciò che non convince per nulla gli imprenditori della ristorazione, invece, sono le barriere divisorie in plexiglass. Il 56% degli intervistati esclude ogni ipotesi di utilizzo, il 37% ne ipotizza invece un impiego alla cassa e poco meno del5% prevede di installarle tra i tavoli.

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