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Blitz “San Paolo”, mafia, usura e droga: 24 arresti (ft e vd)

I Carabinieri della Sezione Operativa del Norm della Compagnia di Siracusa, con la collaborazione del personale dei Reparti dipendenti della predetta Compagnia, delle Compagnie di Augusta e di Noto e del Reparto Operativo del Provinciale di Siracusa, con il supporto di un elicottero del 12° Elinucleo Carabinieri di Catania e unità cinofile antidroga del Nucleo […]

Pubblicato 4 anni fa

I Carabinieri della Sezione Operativa del Norm della Compagnia di Siracusa, con la collaborazione del personale dei Reparti dipendenti della predetta Compagnia, delle Compagnie di Augusta e di Noto e del Reparto Operativo del Provinciale di Siracusa, con il supporto di un elicottero del 12° Elinucleo Carabinieri di Catania e unità cinofile antidroga del Nucleo Carabinieri Cinofili di Nicolosi, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Catania, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia etnea guidata da Carmelo Zuccaro (procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e sostituti procuratori Alessandro La Rosa ed Alessandro Sorrentino) a carico di 24 indagati residenti tra Siracusa, Floridia e Solarino, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di stupefacenti del tipo cocaina, marijuana ed hashish, associazione per delinquere finalizzata all’usura, tentata estorsione ed esercizio abusivo di attività finanziaria, tutte aggravate dal metodo mafioso, per agevolare il clan Aparo attivo nel territorio di Floridia e Solarino.

Le indagini, avviate nel mese di settembre 2017 e durate circa un anno, hanno consentito, mediante specifici servizi di osservazione, controllo e pedinamento, oltre che attraverso l’installazione di videocamere e l’attivazione di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, di disarticolare un sodalizio mafioso riconducibile alla sfera di influenza del clan Aparo, storicamente dominante nei comuni dell’hinterland siracusano, come Floridia e Solarino, quest’ultimo comunemente denominato “San Paolo”, da cui il nome dell’indagine.

Operazione San Paolo: 24 arresti

Il
sodalizio aveva al suo vertice Massimo Calafiore, il quale era stato investito
della reggenza “pro tempore” del clan direttamente dal suo storico boss,
Antonio Aparo, mediante l’invio di missive spedite mentre questi si trovava
ristretto nel carcere di Milano, una volta terminato il regime del 41 bis.
Accanto a Massimo Calafiore, in qualità di suo luogotenente, era stato
collocato Giuseppe Calafiore. Ulteriori partecipi dell’associazione in
posizione apicale e gestori dell’usura e del traffico di stupefacenti, erano
Salvatore Giangravè e Angelo Vassallo, da poco scarcerati dopo un lungo periodo
di detenzione. Inizialmente ostili alla reggenza dei Calafiore, Giangravè e
Vassallo erano stati successivamente convinti da ulteriori missive trasmesse
dal carcere da parte dello stesso Aparo. Il braccio armato del clan, utilizzato
per mantenere il regime di sopraffazione ed omertà sul territorio a favore
dell’associazione, era invece costituito da Mario Liotta, recentemente
deceduto, e dal figlio Francesco Liotta, divenuti l’articolazione operativa del
gruppo criminale, con compiti di intimidazione violenta a commercianti e ad
altri privati.

Il clan,
così composto, aveva dato vita a un vero e proprio dominio sui centri di
Floridia e Solarino. Molteplici erano i campi di influenza dell’associazione
mafiosa, dall’usura agli stupefacenti, dalle estorsioni ai danneggiamenti
mediante attentati incendiari.

In
particolare, l’indagine traeva origine da alcuni incendi verificatisi nel
comune di Floridia a danno di esercizi commerciali, tutti accomunati dallo
stesso modus operandi. Analizzando tali episodi si risaliva agli autori
materiali e ai loro mandanti, facendo venire alla luce l’esistenza di
un’associazione di tipo mafioso radicata sul territorio, resasi responsabile di
numerosi episodi di usura, di cui gli incendi e i danneggiamenti costituivano
l’esortazione a pagare. A capo dell’associazione, vi erano, come detto, proprio
i due Calafiore che, utilizzando denaro del sodalizio criminale, concedevano
prestiti a tassi usurari a privati cittadini in stato di bisogno, tra cui anche
commercianti in difficoltà, praticamente sostituendosi agli istituti bancari. A
differenza di questi ultimi, però, i due applicavano tassi di interesse pari al
20% mensile e quindi al 240% annuo.

A
Giuseppe Calafiore era deputata la tenuta della contabilità mediante appunti
che materialmente erano custoditi dalla madre, Antonia Valenti, destinataria
anche lei di misura cautelare. Negli appunti, oltre che sulle pagine dei
calendari della casa della Valenti, erano annotati nominativi, ammontare delle
rate, date in cui i pagamenti dovevano essere effettuati, oltre che la
contabilità dei prestiti che Giuseppe Calafiore aveva erogato a titolo
personale, fuori dall’influenza del clan. Le vittime di usura accreditavano ai
loro strozzini le rate pattuite mediante bonifici bancari o trasferimenti
monetari su Postepay, oltre che con il classico metodo del trattenimento di
assegni dati in garanzia per l’ammontare del prestito. In caso di
inadempimento, i Calafiore procedevano ad impossessarsi di autovetture, beni
immobili e esercizi commerciali delle vittime, gettandole letteralmente sul
lastrico.

A
coadiuvare i Calafiore, e in modo particolare Giuseppe Calafiore, nella
gestione dell’associazione per delinquere finalizzata all’usura vi erano le
donne di casa: come detto, la madre, Antonia Valenti, col compito di custodire
la contabilità e il denaro, e la compagna, Clarissa Burgio, inizialmente
vittima di usura da parte dei Calafiore, poi divenuta compagna di Giuseppe e
quindi diventata il suo naturale sostituto, allorquando Calafiore era stato
tratto in arresto per detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio e
ristretto in carcere per un breve periodo.

Il giro
dell’usura, emerso durante l’attività di indagine, è risultato di amplissima
portata tanto da far ritenere configurato il reato di esercizio abusivo di
attività finanziaria e creditizia. Solo di alcuni episodi è stata possibile la
compiuta ricostruzione. In molti altri casi, infatti, mancando la
collaborazione delle vittime, non è risultata possibile la contestazione.

L’associazione
mafiosa, oggi disarticolata, non si occupava solo di usura. Florida era anche
l’attività legata al traffico e spaccio di sostanza stupefacente. Le indagini
hanno consentito, infatti, di accertare che il sodalizio criminale gestito dai
Calafiore, per incrementare ulteriormente gli introiti, aveva deciso di
utilizzare parte dei proventi derivanti dall’usura per l’acquisto di grosse
quantità di stupefacenti, principalmente cocaina, hashish e marijuana, fornite
dai catanesi, Salvatore Mazzaglia e Victor Andrea Mangano, soggetti legati al
clan etneo dei Santapaola – Ercolano, gruppo di Nicolosi – Mascalucia. La
sostanza stupefacente veniva poi rivenduta a numerosi acquirenti di Floridia
alimentando lo spaccio al dettaglio in quel centro.

Dall’associazione
dei Calafiore si rifornivano anche spacciatori indipendenti come Andrea
Occhipinti, Paolo Nastasi, Antonio Amato (detto “Cappellino”) e Massimo Privitera,
operanti tutti a Floridia.

Sempre
seguendo il canale della sostanza stupefacente che da Catania giungeva a
Floridia attraverso i Calafiore, emergeva, inoltre, l’esistenza di una vera e
propria piazza di spaccio sita in via Fava, alimentata dallo stupefacente
acquistato e rivenduto dai Calafiore e i cui promotori ed organizzatori
venivano individuati in Maurizio Assenza e suo figlio Sebastiano Carmelo, che
unitamente a Joseph Valenti, Antonio Privitera, Angelo Aglieco e Jacopo De
Simone, avevano dato vita ad una vera e propria organizzazione dedita allo
spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana.

Nel
corso dell’indagine sono stati eseguiti numerosi riscontri, riuscendo a
sequestrare complessivamente 300 grammi di cocaina. Sono stati altresì
segnalati alla Prefettura, quali assuntori, circa venti clienti della piazza di
spaccio di via Fava, nonché degli spacciatori indipendenti che si rifornivano
dai Calafiore. Inoltre, sono state tratte in arresto sette persone per
detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio. L’introito stimato del
giro di droga scoperto grazie a questa indagine si aggirava intorno ai 350.000
euro in soli quattro mesi.

Oltre
all’usura e agli stupefacenti, l’associazione mafiosa si dedicava anche ai
danneggiamenti mediante incendi, utilizzati per far sentire la forza di
intimidazione del clan sul territorio, per punire coloro che non erano puntuali
nei pagamenti o che avevano interrotto i rapporti interpersonali con il clan
ovvero, a volte, anche semplicemente per dare fastidio alle Forze dell’Ordine
quando queste ultime segnalavano qualcuno dei consociati per violazione degli
obblighi cui erano sottoposti. Almeno quindici si sono rivelati gli atti
incendiari attribuibili all’associazione, sia a danno di autovetture che di
esercizi commerciali, quasi tutti riconducibili al braccio esecutivo
dell’associazione, identificata nei due Liotta.

Emblematiche
talune motivazioni scatenanti di attentati incendiari: l’incendio
dell’autovettura dei proprietari di un bar di Solarino, rei di non aver
praticato uno sconto su una torta acquistata dal boss Massimo Calafiore per il
compleanno del figlio, addirittura facendogli pagare un lecca – lecca che lo
stesso, all’atto del ritiro del dolce, aveva acquistato alla figlia che lo
accompagnava. Altro episodio è rappresentato dall’incendio di un intero pub di
Floridia dopo che Giuseppe Calafiore aveva giudicato troppo caro un tagliere di
formaggi e non aveva potuto ricevere le ostriche e champagne, da lui richieste,
ma non disponibili.

Nel
corso dell’indagine è emersa altresì la figura di Domenico Russo, dapprima
parte offesa in quanto vittima dell’usura dei Calafiore e, successivamente,
mandante di una tentata estorsione nei confronti di un netino che lo aveva
truffato grazie all’intermediazione mafiosa di Massimo Calafiore e di Giuseppe
Crispino, esponente del clan Trigila di Noto.

Ecco i nomi delle persone arrestate e rispettivi capi d’accusa:

Aparo
Antonio, classe 1958, disoccupato, pluripregiudicato, già ristretto presso il
carcere di Opera (Milano), per associazione di tipo mafioso.

Calafiore
Massimo, classe 1968, disoccupato, pluripregiudicato, per associazione di tipo
mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze
stupefacenti, spaccio di sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal
metodo mafioso, associazione per delinquere finalizzata all’usura ed esercizio
abusivo dell’attività finanziaria.

Calafiore
Giuseppe, classe 1968, disoccupato, pluripregiudicato, per associazione di tipo
mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze
stupefacenti, spaccio di sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal
metodo mafioso, associazione per delinquere finalizzata all’usura ed esercizio
abusivo dell’attività finanziaria.

Giangravè’
Salvatore, classe 1963, operatore ecologico, pluripregiudicato, per
associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di
sostanze stupefacenti, spaccio di sostanza stupefacente in concorso e aggravato
dal metodo mafioso.

Vassallo
Angelo, classe 1963, operatore ecologico, pluripregiudicato, per associazione
di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze
stupefacenti, spaccio di sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal
metodo mafioso.

Privitera
Massimo, classe 1973, disoccupato, pregiudicato, per spaccio di sostanza
stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Liotta
Francesco, classe 1989, disoccupato, con precedenti di polizia, per
associazione di tipo mafioso.

Mazzaglia
Salvatore, inteso “Nino”, classe 1957, disoccupato, pluripregiudicato, già
ristretto presso il carcere di Catania Bicocca, per associazione finalizzata al
traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, spaccio di sostanza stupefacente
in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Mangano
Victor Andrea Junior, classe 1991, disoccupato, con precedenti di polizia, per
associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti,
spaccio di sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Nastasi
Paolo, classe 1978, disoccupato, con precedenti di polizia, per spaccio di
sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Amato
Antonio, inteso “cappellino”, classe 1986, operaio, pregiudicato, per spaccio
di sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Assenza
Maurizio, classe 1964, autista, pregiudicato, per associazione finalizzata al
traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e spaccio di sostanza stupefacente
in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Assenza
Sebastiano Carmelo, classe 1994, disoccupato, con precedenti di polizia, per
associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e
spaccio di sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

De
Simone Jacopo, classe 1993, disoccupato, pregiudicato, per associazione
finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e spaccio di
sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Aglieco
Angelo, classe 2001, disoccupato, con precedenti di polizia, per associazione
finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e spaccio di
sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Valenti
e aggravato dal metodo mafioso.

Privitera
Antonio, classe 1996, disoccupato, con precedenti di polizia, per associazione
finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e spaccio di
sostanza stupefacente in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Crispino
Giuseppe, classe 1978, disoccupato, con precedenti di polizia, già ristretto
presso il carcere di Terni, per tentata estorsione in concorso e aggravata dal
metodo mafioso.

Sono
stati portati agli arresti domiciliari nelle rispettive abitazioni:

Valenti
Antonia, classe 1946, pensionata, incensurata, per associazione per delinquere
finalizzata all’usura.

Burgio
Clarissa, classe 1982, impiegata, incensurata, per associazione per delinquere
finalizzata all’usura.

Occhipinti
Andrea, classe 1989, operaio, incensurato, per spaccio di sostanza stupefacente
in concorso e aggravato dal metodo mafioso.

Russo
Domenico, classe 1964, veterinario, incensurato, per tentata estorsione in
concorso e aggravata dal metodo mafioso.

Ulteriori
due soggetti destinatari di misura risultano in atto irreperibili sul
territorio nazionale.

Nel
corso delle odierne attività di polizia giudiziaria, è stata data esecuzione
all’ordine di sequestro preventivo di un’autovettura Audi Q5 di proprietà di
una delle vittime di usura, ma nella disponibilità di Massimo Calafiore, da lui
“requisita” alla stessa vittima come pegno per i mancati pagamenti.

Nelle
abitazioni degli arrestati sono stati, invece, sequestrati vari assegni e
bancomat, sostanza stupefacente del tipo hashish per 5 grammi, 1 grammo di
cocaina e denaro in contante per quasi 13 mila euro.

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