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“Droga e ricatti in comunità a Favara”, indagato ammette parzialmente fatti

In virtù delle dichiarazioni la difesa ha chiesto la scarcerazione con applicazione dei domiciliari

Pubblicato 3 anni fa

Si è svolto questa mattina, davanti il gip del tribunale di Agrigento Stefano Zammuto, l’interrogatorio di garanzia di Chyarl Bennardo, 40 anni di Favara, arrestato negli scorsi giorni dai carabinieri nell’ambito dell’operazione sulla comunità Oasi di Emmanuele. L’indagato, difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano, ha reso dichiarazioni spontanee ammettendo parzialmente i fatti a lui contestati. Nei suoi confronti vengono mosse accuse relative a diverse cessioni di droga all’interno della struttura e, in una di queste occasioni, di aver preteso prestazioni sessuali in cambio del pagamento della sostanza stupefacente minacciando anche la diffusione di video. L’indagato ha di fatto ammesso la prima circostanza, confermando di aver ceduto droga in comunità. Sulla seconda contestazione, invece, ha riferito di aver utilizzato al telefono un linguaggio “spinto” e “crudo”. In virtù delle parziali ammissioni la difesa ha avanzato richiesta di scarcerazione con applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari. 

L’attività di indagine condotta dai carabinieri di Favara e dai militari della Compagnia di Agrigento – coordinata dal procuratore della Repubblica facente funzioni Salvatore Vella e dal sostituto procuratore Paola Vetro – è stata avviata nel novembre 2020 e ha preso vita a seguito di diverse segnalazioni, tra le quali una richiesta di aiuto di una donna ospite di una struttura che aveva raccontato di aver subito violenze sessuali e minacce come corrispettivo della vendita di sostanza stupefacente. Al centro dell’inchiesta, coordinata dal procuratore facente funzioni Salvatore Vella e dal sostituto Paola Vetro, la comunità Oasi di Emmanuele. La struttura, che sulla carta si sarebbe dovuta occupare del recupero di persone con problemi psichici e di tossicodipendenza, si è ben presto rivelata una centrale di spaccio. La droga entrava e usciva con facilità e veniva venduta anche ai pazienti. E chi non riusciva a pagarla veniva “invitato” a saldare il debito con prestazioni sessuali. Tra le contestazioni anche un ricatto a sfondo sessuale con la minaccia di diffondere video e immagini compromettenti. Un vero e proprio inferno documentato in quasi un anno e mezzo di indagini. 

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