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La barca degli orrori e quei venticinque morti che gridano giustizia: chiesto ergastolo

Fine pena mai. E’ quanto chiesto dal sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento Alessandra Russo nei confronti di  Mohamed Moussa, 29enne somalo, già condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sulla cui testa pende anche la grave accusa di omicidio. La Procura di Agrigento chiede adesso l’ergastolo. La drammatica vicenda, che ha già registrato cinque condanne in […]

Pubblicato 4 anni fa

Fine pena mai. E’ quanto chiesto dal sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento Alessandra Russo nei confronti di  Mohamed Moussa, 29enne somalo, già condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sulla cui testa pende anche la grave accusa di omicidio. La Procura di Agrigento chiede adesso l’ergastolo.

La drammatica vicenda, che ha già registrato cinque condanne in diversi stralci processuali, riguarda lo sbarco a Lampedusa di un barcone – avvenuto l’1 agosto 2011 – nella cui stiva furono rivenuti ben venticinque cadaveri di migranti deceduti per asfissia. Secondo le indagini della Squadra Mobile di Agrigento, supportate dai racconti dei sopravvissuti, i migranti avrebbero provato a ribellarsi cercando di uscire dalla stiva venendo brutalmente picchiati. Fra i picchiatori, appunto, l’odierno imputato (ad oggi irreperibile) che si sarebbe anche macchiato dell’omicidio di uno dei migranti gettato poi in mare. “Un orrore” lo aveva definito Pietro Bartolo, all’epoca medico del poliambulatorio di Lampedusa ed oggi attuale europarlamentare, durante la sua testimonianza davanti la Corte d’Assise di Agrigento presieduta da Alfonso Malato (a latere il giudice Alessandro Quattrocchi).

Di parere completamente opposto la difesa del somalo, rappresentato dall’avvocato Giardina: il 29enne altro non è che una delle tante vittime del fenomeno migratorio, su quel barcone proprio come gli altri migranti in cerca di sogni, speranze. Citando Platone ed il “Mito della Caverna” il legale ha anche avanzato alcune lacune sulla ricostruzione sia del luogo in cui sarebbero avvenuti i decessi – in Libia per la difesa – sia dell’orario delle morti. La Corte d’Appello pronuncerà il dispositivo di sentenza il prossimo 21 aprile. 

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