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Mafia, il coraggio della vedova che inchioda il killer del marito dopo 23 anni: “Ha sparato lui”

Riconoscere in un’aula di tribunale il killer del marito, ucciso trent’anni prima davanti i suoi occhi nel giorno del loro anniversario di matrimonio, è un atto coraggioso

Pubblicato 1 mese fa

La presenza di testimoni oculari in un delitto di mafia è un evento più unico che raro. Riconoscere in un’aula di tribunale il killer del marito, ucciso trent’anni prima davanti i suoi occhi nel giorno del loro anniversario di matrimonio, è un atto coraggioso. La tenacia di una donna, e di una famiglia intera, che non si è mai rassegnata all’idea di sapere chi e perché avesse decretato la morte di un onesto imprenditore. Ed è proprio grazie a questa forza che, dopo un’attività investigativa infinita e ben due archiviazioni, si è giunti ad un primo vero epilogo della vicenda: ergastolo. I giudici della Corte di Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, hanno depositato negli scorsi giorni le motivazioni della sentenza con cui è stato condannato al carcere a vita Filippo Sciara, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Siculiana, per l’omicidio dell’imprenditore Diego Passafiume. Era il 22 agosto 1993. Per oltre venticinque anni il delitto è rimasto un mistero sebbene avvenuto in presenza di alcuni testimoni oculari. Una rarità negli omicidi di mafia. Passafiume venne ucciso in contrada “Ponte padre Vincenzo” a Cianciana mentre si trovava in auto con moglie, suocera e nipoti. Tutti si stavano recando a casa di un parente per festeggiare il diciannovesimo anniversario di matrimonio. I giudici, depositando le motivazioni della sentenza, riscrivono parte di quella drammatica vicenda individuando responsabili e definendo il contesto di quegli anni caratterizzati da una insaziabile prepotenza mafiosa. Una delle colonne portanti dell’impianto accusatorio, che ha trovato conferma nel primo grado di giudizio, è stata proprio la testimonianza di due donne: la moglie e la nipote della vittima. Entrambe, già nell’immediatezza dell’omicidio, fornirono importanti elementi utili ma la svolta avviene nel 2016. Alla donna viene mostrato dal suo avvocato, Danilo Giracello, un album fotografico relativo al processo Akragas, la prima maxi inchiesta sulla mafia agrigentina. La signora riconosce la foto numero 66, l’assassino del marito: è Filippo Sciara: “Si, per la seconda volta dopo l’omicidio che ha fatto..l’ho visto per la seconda volta nella foto del mio avvocato”. Un secondo riconoscimento avviene circa un anno più tardi, questa volta nella sede del Reparto operativo dei Carabinieri di Agrigento. L’ultimo e decisivo riconoscimento, infine, durante il processo: “Ha sparato a mio marito.. al mille per mille..”. Un percorso simile è stato compiuto dalla nipote della vittima, presente in auto con lo zio al momento dell’omicidio. La donna afferma di aver visto in faccia il killer e di non poter scordare quegli “occhi che facevano paura in quei momenti, sono attimi di secondo come una macchina fotografica.” Entrambe le donne, pochi giorni prima della sentenza, sono state nuovamente sentite in aula “a sorpresa” per valutarne l’attendibilità, riconosciuta pienamente. 

Ecco cosa scrivono i giudici: “In primo luogo va segnalata la genuinità del contenuto delle testimonianze nella parte in cui le due testimoni hanno ricostruito punto per punto le circostanze di quella tragica mattina dell’agosto del 1993 , ed il dato è stato vieppiù evidente a seguito del secondo esame dibattimentale disposto ” a sorpresa ” dalla Corte. Le due testimoni hanno riferito della sequenza dinamica del fatto in modo assolutamente coerente con la loro posizione all’interno della vettura della vittima: la moglie non era stata “distratta” dalla visione del terreno comprato dal marito ed aveva avuto quindi modo di notare meglio la macchina degli assassini che si avvicinava alla loro , le braccia dell’assassino che reggevano il fucile fuori dal finestrino, l’assassino che, dopo avere sparato il primo colpo era sceso e si era avvicinato alla loro macchina sporgendosi attraverso il finestrino aperto per vedere meglio I’interno e quindi esplodere ulteriori colpi all’indirizzo della vittima designata ; la nipote invece era intenta ad osservare il terreno da poco acquistato dallo zio, alla sua destra , di talchè non aveva subito notato la vettura in avvicinamento, accorgendosi di quanto stava accadendo dopo avere sentito l’esplosione del primo colpo. Le circostanze riferite dalle due donne, ed in modo particolare dalla moglie, sono inoltre pienamente compatibili con le emergenze oggettive agli atti rappresentate dai rilievi tecnici di cui al fascicolo fotografico , dai rilievi balistici e dalle emergenze medico legali. all’udienza dell’ l.l2-2023 la Corte di Assise ha dato lettura della ordinanza emessa ex art. 507 c.p.p. ordinanza che è agli atti e nella quale non viene indicato il capitolato di prova; le due testimoni , presenti in aula alla stessa udienza  dell’1.12.2023 si sono subito sottoposte all’esame, il cui contenuto quindi non poteva in alcun modo essere “preparato” . Ma il dato più importante del contenuto delle due testimonianze è che sia la moglie che la nipote avevano avuto modo di vedere bene l’assassino: la moglie perché, in quanto seduta dietro Diego Passafiume era vicinissima, a distanza di alcuni centimetri dal finestrino lato guida da cui si era sporto l’assassino per vedere dentro la vettura; la nipote perchè era seduta dietro ma nel mezzo e quindi più scostata, ma sempre assai vicina. In ogni caso , i riconoscimenti effettuati dalle testimoni in udienza a parere di  questa Corte fanno parte integrante delle loro testimonianze alle quali non può, in mancanza di segni di mendacio o di rilievi specifici di inattendibilità, negarsi il valore di prova.

I familiari di Diego Passafiume, dopo aver letto le motivazioni della sentenza, hanno rilasciato queste dichiarazioni a Grandangolo: “La sentenza depositata dimostra l’impegno della magistratura che in questi lunghi anni si è impegnata nella ricerca della verità sulla morte prematura di nostro padre. In questi anni abbiamo sempre avuto grande fiducia nella giustizia e nella possibilità di conoscere le ragioni e i responsabili dell’omicidio. Speriamo che la giustizia continui a fare il suo corso e che quanto successo possa essere un modo per dare fiducia a chi, vittima di gravi ingiustizie, è ancora oggi in attesa di risposte. L’avvocato Danilo Giracello ha mostrate grande esperienza e sensibilità al nostro caso, coadiuvato dal brillante avvocato Daniela La Novara. Ci hanno accompagnato fino ad oggi a questo risultato”. 

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