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Omicidio irrisolto da 21 a Sciacca: un maxi furto di armi ha sancito condanna a morte di Bono?

E’ il 31 gennaio 2018 quando una interessante conversazione tra Antonello Nicosia, assistente parlamentare della deputata Giusy Occhionero, e il boss Accursio Dimino, considerato il capo della famiglia mafiosa di Sciacca, viene captata dalle cimici installate dai carabinieri del Ros su un’auto presa a noleggio poco prima  a bordo della quale stanno viaggiando.  Al centro […]

Pubblicato 4 anni fa

E’ il 31 gennaio 2018 quando una interessante conversazione tra Antonello Nicosia, assistente parlamentare della deputata Giusy Occhionero, e il boss Accursio Dimino, considerato il capo della famiglia mafiosa di Sciacca, viene captata dalle cimici installate dai carabinieri del Ros su un’auto presa a noleggio poco prima  a bordo della quale stanno viaggiando. 

Al centro del colloquio, registrato nell’ambito dell’inchiesta “Passepartout”, c’è l’omicidio di un agricoltore di Sciacca, Giuseppe Bono, assassinato nel 1998 in contrada Chiana e i cui responsabili non sono mai stati trovati. 

Da sempre gli inquirenti hanno nutrito più di un sospetto sul fatto che il delitto fosse maturato in dinamiche mafiose ma ancora oggi, a distanza di 21 anni, quell’omicidio rimane un vero e proprio “cold case”. Uno spunto che potrebbe avere importante valore investigativo in tal senso lo fornisce proprio la conversazione captata in auto tra le due figure principali dell’inchiesta. 

Accursio Dimino riferisce che Giuseppe Bono, da lui chiamato “compare”, sarebbe stato ucciso perché entrato apertamente in contrasto con il clan guidato dal “vecchioTotò Di Gangi, boss indiscusso della famiglia mafiosa di Sciacca confidando al Nicosia che lo stesso Di Gangi, seppur in quel periodo latitante (fu arrestato nel 1999 dietro Piazza Politeama, a Palermo), avrebbe avuto un qualche ruolo nel delitto. “Ma lui non c’era a Chiana” – risponde Nicosia – “C’era a Chiana.. lui c’era … latitante era ..” conclude Dimino

Qui occorre fare un obbligatorio salto indietro nel tempo. 

E’ il 3 dicembre 1998 e in contrada Chiana, zona rurale alla periferia di Sciacca, viene trovato all’interno della sua Fiat Punto crivellata da colpi di fucile il corpo di Giuseppe Bono, agricoltore di 67 anni con un passato particolare. Era a pochi metri dall’ingresso della sua abitazione di campagna. Cinque anni prima del suo omicidio, Bono era rimasto coinvolto nell’ambito dell’operazione Avana, l’inchiesta che nel marzo 1993 portò alla luce il clan degli insospettabili guidato dall’ex direttore della Sicilcassa Totò Di Gangi fedelmente legato ai corleonesi di Totò Riina. Bono, però, fu quasi subito scagionato non affrontando neanche il processo e – vieppiù – fu anche risarcito dallo Stato Italiano con una somma di 30 milioni delle vecchie lire per ingiusta detenzione. Cinque anni dopo un’altra sentenza, questa inappellabile: l’esecuzione mafiosa.

Accursio Dimino, mentre dialoga con Nicosia, spiega intercettato che l’omicidio era avvenuto per questioni legate alla custodia e alla sottrazione delle armi del clan di Sciacca costate all’epoca oltre 150 milioni di lire: “Perchè lì c’era stata la discussione forte sia con quelli che con cosa…perchè lì sono spariti ottanta pezzi.. di quelli pezzi grossi sono spariti .. noialtri un patrimonio ci aviamu spinnutu –dice Dimino – oltre 150 milioni ci erano costati .. ne erano arrivate tre casse ..”. 

Lo stesso Dimino spiega al Nicosia che il personale interessamento nella vicenda per tentare di sanare la controversia ma senza successo perché ormai la sentenza di condanna a morte di Bono era stata emessa: “Ma quando io mi sono venuto a interessare per la prima volta.. che poi con Giuseppe eravamo rimasti che ci doveva dare la risposta.. gli avevo detto che veniva dal vecchio.. si era infilato con noialtri ..parlava male di quello ..ecc.. cose.. poi quando ho fatto arrivare la voce a quello.. piglia e mi ha detto.. no dice .. levaci mano .. fai finta allora c’è qualcosa .. c’è qualcosa che non va, capito? Dicendomi così… perché io già l’avevo trovato uno spiraglio ..no lui … me lo ha mandato a dire”.

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