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Processo Montagna: al via contro-esame del collaboratore Quaranta

Al via il contro-esame del collaboratore di giustizia Quaranta

Pubblicato 3 anni fa

Si è celebrata questa mattina una nuova udienza del processo d’Appello scaturito dall’operazione “Montagna”, eseguita nel 2018 contro le famiglie mafiose dell’agrigentino, che ha portato in primo grado a 35 condanne e 19 assoluzione. A prendere la parola sono stati gli avvocati del collegio difensivo (tra gli altri Giovanni Castronovo, Angela Porcello, Antonino Gaziano, Maria Nicotra e Giuseppe Oddo) che hanno così potuto svolgere il contro-esame del collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta, ex braccio destro del boss Francesco Fragapane, oggi principale teste dell’accusa.

Dopo una serie di domande tecniche basate su date e circostanze – volte perlopiù a verificare l’attendibilità del pentito ed eventuali discrasie con dichiarazioni rilasciate in precedenza – si sono affrontate nello specifico tre posizioni: quella di Pasquale Fanara, ritenuto capo della famiglia mafiosa di Favara ma assolto pienamente in primo grado dopo un periodo di detenzione al 41bis; e le posizioni di Antonino Vizzì, ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Raffadali, e di Vincenzo Cipolla, ritenuto invece membro della famiglia mafiosa di San Biagio Platani. La difesa, attraverso lo svolgimento del contro-esame, prova dunque a fornire una versione alternativa a quella dell’accusa. In particolare, sempre secondo il collegio difensivo, Quaranta accuserebbe Fanara poichè risentito del trattamento ricevuto dallo stesso; allo stesso modo non ci sarebbero elementi validi per sostenere che a capo della famiglia mafiosa di Raffadali ci sia Vizzì, ritenuto invece al massimo uno dei sodali a servizio di un anziano boss (tale Salvatore Mammana). Per quanto riguarda invece la posizione di Cipolla la difesa ha sottolineato le incongruenze delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Terminato il contro-esame la Corte ha programmato un calendario che, a meno di colpi di scena, porterà ad un verdetto nel mese di luglio.

Quarantacinque gli imputati nel processo d’Appello: Adolfo Albanese, Carmelo Battaglia, Giuseppe Blando, Vincenzo Cipolla, Antonio Cordaro, Franco D’Ugo, Santo Di Dio, Salvatore Di Gangi, Angelo Di Giovanni, Vincenzo Dolce, Francesco Drago, Concetto Errigo, Pasquale Fanara, Daniele Fragapane, Francesco Fragapane, Raffaele Fragapane, Giovanni Gattuso, Alessandro Geraci, Angelo Giambrone, Francesco Giordano, Roberto Lampasona, Raffaele La Rosa, Antonio Licata, Calogero Limblici, Calogero Maglio, Vincenzo Mangiapane, Domenico Maniscalco, Antonio Maranto, Pietro Masaracchia, Giuseppe Nugara, Vincenzo Pellettieri, Salvatore Puma, Luigi Pullara, Calogero Quaranta, Giuseppe Quaranta, Pietro Reina, Calogero Sedita, Giuseppe Luciano Spoto, Massimo Spoto, Vincenzo Spoto, Gerlando Valenti, Stefano Valenti, Giuseppe Vella,Antonino Vizzì.

In primo grado sono state 35 le condanne e 19 le assoluzioni. la pena più alta è stata inflitta proprio al rampollo di Santa Elisabetta: 20 anni in virtù del rito abbreviato. Insieme a lui sono state condannate altre 34 persone che – in linea di massima – confermano l’impianto accusatorio sostenuto in aula dai pm della Dda di Palermo Geri Ferrara, Claudio Camilleri e Alessia Sinatra coordinati dall’aggiunto Paolo Guido. Pesanti condanne nei confronti di Giuseppe Nugara (19 anni e 4 mesi), considerato il boss di San Biagio Platani e da mesi ormai in regime di 41 bis; 19 anni e 8 mesi a Giuseppe Luciano Spoto, di Bivona, alla guida per un periodo dell’intero mandamento; 17 anni al “vecchio” boss di Sciacca Salvatore Di Gangi; 14 anni a Nino Vizzì, meccanico di Raffadali considerato a capo della locale famiglia. 10 anni e 8 mesi per Raffaele Fragapane, cugino di Francesco, che lo avrebbe sostituito per un periodo alla guida della famiglia di S.Elisabetta mentre 6 anni sono stati inflitti all’altro cugino Daniele, calciatore che vive in Belgio, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.Diciannove, invece, le assoluzioni molte delle quali “eccellenti”. La più eclatante è sicuramente quella di Pasquale Fanara, per il quale sono stati chiesti 20 anni di carcere per essere il presunto capo della famiglia mafiosa di Favara, e che invece è stato assolto e immediatamente scarcerato.Fra le assoluzioni anche quella di Angelo Giambrone, figlio di Calogerino che era considerato il boss di Cammarata e per questo messo al regime di carcere duro dove è deceduto negli scorsi mesi, e di Domenico Maniscalco, imprenditore di Sciacca. Pesanti condanne anche nei confronti di Luigi Pullara e del cognato Angelo Di Giovanni (10 anni e 8 mesi); ritenuti colpevoli, ma soltanto di concorso esterno in associazione mafiosa, i fratelli Stefano e Gerlando Valenti e per questo condannati a 6 anni e 8 mesi di reclusione (la procura chiedeva 20 anni per il primo mentre 15 anni per il secondo). Condanne anche per Calogero Limblici (16 anni) e Giuseppe Vella (12 anni e 8 mesi). Per quanto riguarda il traffico degli stupefacenti, che per un periodo sarebbe stato diretto dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta (condannato a 8 anni in virtù dei benefici della collaborazione), è stato condannato il figlio Calogero (4 anni e 20 giorni), Antonio Licata (4 anni e 20 giorni) mentre è stato assolto Stefano Di Maria. Calogero Maglio, favarese, è stato condannato a 4 anni e 8 mesi (richiesta 12 anni, caduta l’associazione mafiosa)   Assolti Giuseppe Blando e  l’imprenditore Salvatore Vitello, proprietario di una ferramenta, accusato di favoreggiamento aggravato. Si torna in aula il 13 gennaio. 

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