Fallimento Banca Base: arrestato ex presidente (ft e vd)
Due persone e tra queste l’ex presidente della banca, sono state arrestate e ammesse ai domiciliari, per il fallimento, in concorso con altre 18 persone, della Banca sviluppo economico di Catania (Banca Base) dichiarato dal tribunale civile di Catania nel mese di dicembre del 2018 (confermato in appello nell’aprile 2019). Ipotizzate dai militari del comando […]
Due
persone e tra queste l’ex presidente della banca, sono state arrestate e
ammesse ai domiciliari, per il fallimento, in concorso con altre 18 persone,
della Banca sviluppo economico di Catania (Banca Base) dichiarato dal tribunale
civile di Catania nel mese di dicembre del 2018 (confermato in appello
nell’aprile 2019).
Ipotizzate
dai militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Catania e del Nucleo
speciale di polizia valutaria reati che vanno dalla bancarotta fraudolenta, al
falso in prospetto, all’ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e
all’aggiotaggio.
L’operazione
delle Fiamme Gialle, denominata “Fake bank”, ha consentito di
documentare gli illeciti della governance della “fallita” banca etnea
consistenti in operazioni finanziarie ai danni del patrimonio societario in
violazione dei vincoli imposti dall’autorità di vigilanza. Dopo il fallimento
Banca Base fu assorbita dalla Banca agricola popolare di popolare di Ragusa.
Destinatari
della misura degli arresti domiciliari sono Pietro Bottino, 63 anni, legale
rappresentante e presidente del Cda di Banca Base dall’aprile 2013 al 13
febbraio 2018 (data del commissariamento dell’istituto di credito);
Gaetano Sannolo,
47 anni, direttore generale di Banca BASE, dal maggio 2016 al 13 febbraio 2018
e, nei fatti, factotum di Bottino.
L’investigazione,
condotta dal Nucleo di polizia economico- finanziaria di Catania (Gruppo tutela
economia) e dal Nucleo speciale di polizia valutaria (Gruppo tutela del
risparmio), coordinata dalla Procura distrettuale di Catania, ha consentito di
tracciare ripetute ed illecite condotte operate dalla governance della banca
etnea finalizzate a rappresentare una situazione patrimoniale non
corrispondente alla realtà, compiendo, al contempo, operazioni finanziarie
anti-economiche e dissipative del patrimonio societario anche in dispregio dei
vincoli imposti dalla normativa di settore e dall’Autorità di vigilanza.
Banca Base
(banca c.d. ad azionariato diffuso) nasceva nel 2007, con la sottoscrizione del
capitale da parte di 226 soci fondatori. Nel febbraio del 2009, con l’apertura
degli sportelli di Catania e Misterbianco (CT), Banca Base iniziava a
esercitare l’attività bancaria. Nel corso del suo decennio di vita, l’istituto
di credito veniva sottoposto a quattro attività ispettive di Bankitalia, dalle
quali, sin dall’inizio, era possibile desumere concrete difficoltà nella realizzazione
del progetto industriale per il mancato sviluppo di adeguati volumi operativi
in grado di sostenere la redditività, quest’ultima subito fortemente incisa da
perdite su crediti.
Le
quattro ispezioni dell’Autorità di vigilanza (2010, 2013, 2015-2016,
2017-2018), conclusisi con giudizi progressivamente sempre più sfavorevoli, con
la comminazione di sanzioni amministrative a carico degli organi direttivi e
con l’imposizione di prescrizioni di salvaguardia (mai osservate), fotografavano
una Banca in cattivo stato di salute caratterizzato dall’imprudente e
spregiudicata concessione di prestiti e affidamenti in assenza di garanzie
reali e da apporti partecipativi sempre poco trasparenti. Già nel giugno 2016,
Bankitalia imponeva a Banca Base di avviare un piano di ripatrimonializzazione
attraverso l’intervento di partner bancari di adeguato livello e, nel
frattempo, vietava l’erogazione di nuove linee di credito e l’ampliamento di
quelle esistenti. I richiami di Bankitalia venivano completamente disattesi e,
all’esito dell’ultima ispezione, è la stessa Authority che richiedeva e otteneva
il commissariamento dell’Istituto bancario catanese decretato dall’Assessorato
Economia, finanze e credito della Regione Siciliana in data 13 febbraio 2018.
Con l’insediamento del commissario straordinario è emersa la drammatica situazione
di illiquidità di Banca Base che portava alla sospensione, per tre mesi, del
pagamento di qualsiasi passività e della restituzione di strumenti finanziari
alla clientela. I duemila correntisti, addirittura, potevano prelevare presso
gli Atm solo 250 euro (fatta eccezione per il denaro accreditato dopo il 14
febbraio per il cui prelievo non venivano fissati limiti).
Nello
stesso periodo (aprile 2018), veniva perfezionata:
la cessione
di tutte le attività e passività di Banca Base a favore di Banca agricola
popolare di Ragusa (BAPR) al prezzo simbolico di 1 euro poiché la massa
debitoria stimata in 4,5 milioni di euro veniva ripianata con risorse
provenienti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi;
l’apertura
della liquidazione coatta amministrativa.
Come già
accennato in premessa, il Tribunale Civile di Catania, in accoglimento
dell’istanza del commissario liquidatore, in data 24 dicembre 2018, dichiarava
lo stato di insolvenza di Banca Base poi confermato in appello con sentenza
dell’aprile del 2019. Lo stato passivo depositato di Banca Base ammontava ad
oltre 38 milioni di euro.
Le
investigazioni delle Fiamme gialle – consistite nell’esecuzione di perquisizioni
presso le sedi e i domicili dei soggetti coinvolti nonché di intercettazioni
telematiche e di analisi documentali – hanno messo in luce una serie di
operazioni commerciali fasulle, non rispondenti alle ordinarie logiche
economiche, funzionali a un mero “abbellimento” dei bilanci e concretamente
idonee a minare l’integrità del patrimonio di Banca Base. Tra queste,
esemplificativamente, si riportano le seguenti:
una
cessione di una partita di crediti, ormai “carta straccia”, dal valore nominale
di 5 milioni di euro, valutati al netto per 250 mila euro, per un corrispettivo
di 300 mila euro a favore della società modenese, con uffici operativi a
Napoli, “Cooperfin spa”; tra le anomalie di questa vendita di crediti
sofferenti, realizzata il giorno prima della chiusura del I trimestre 2016,
spiccano il passaggio totale dei rischi a carico della “Cooperfin”, la quale
avrebbe dovuto corrispondere un importo superiore allo stesso valore netto delle
attività acquisite; in altre parole, nel bilancio di Banca Base il portafoglio
di 124 crediti sofferenti viene sostituito con un credito nei confronti della società
acquirente;
alla fine del III trimestre 2017, si ripete lo schema operativo appena descritto: una nuova cessione (“pro-soluto”) di crediti deteriorati, dal valore nominale di 670 mila euro al prezzo di 450 mila euro, a favore di una società sprovvista di consistenza patrimoniale, la “Protebe’ spa”; solo in parte, i componenti degli organi amministrativi e di controllo segnalavano l’esistenza di molteplici conflitti di interesse: amministratori e sindaci di Banca Base ricoprivano medesimi incarichi nella Protebe’; ma l’elemento più inquietante era rappresentato dal fatto che il capitale sociale della Protebe’ proveniva da risorse finanziarie messe a disposizione da Pietro Bottino a favore della proprietà “formale”; tale conflitto d’interesse, mai palesato, portava Banca Base a realizzare un’ulteriore operazione “opaca” senza che il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale fossero messi a conoscenza che era in corso di realizzazione un’operazione con un soggetto collegato; ancora una volta, dunque, un maquillage dei bilanci che, nei fatti, pur eliminando dalle attività dei crediti sofferenti vedeva l’iscrizione di un credito nei confronti di una società “figlia” dell’ex presidente Bottino che non avrebbe mai onorato il debito contratto.
I
Finanzieri del Nucleo P.E.F. di Catania e del Nucleo di polizia valutaria di
Roma hanno poi posto la loro attenzione alla palese inosservanza degli obblighi
imposti da Bankitalia. Nello specifico, attesa la rilevata eccessiva
esposizione al rischio di perdite su erogazioni già concesse, l’Autorità di
Vigilanza imponeva, nel giugno 2016, il divieto a Banca Base di “erogare
ulteriore finanza” e, quindi, concedere nuovi prestiti. Dall’esame degli stessi
verbali del cda di Base, veniva, invece, rilevata la costante, ripetuta
concessione di ulteriori sconfinamenti (attraverso, ad esempio, il pagamento di
assegni tratti in assenza di fondi sul conto o ben oltre la capienza del fido
già concesso) a favore di numerosi clienti. Tali erogazioni, malcelate in
sconfinamenti e extrafidi, raggiungevano il picco di oltre 1 milione di euro
nel maggio 2017.
Come già
accennato, sempre nel giugno 2016, Bankitalia richiedeva al management di Banca
BASE di avviare un effettivo processo di ripatrimonializzazione mediante
l’integrazione con un gruppo bancario di adeguato livello o attraverso
l’ingresso di un qualificato investitore professionale. In quest’ambito, i due
soggetti arrestati Bottino – Sannolo realizzavano, al cospetto del cda di Banca
Base e degli ispettori di Bankitalia, la seguente messa in scena: qualche
giorno prima del commissariamento, Bottino informava i consiglieri del cda di
aver acquisito un ordine di pagamento proveniente dalla società britannica “Ifina”
pari a 2,5 milioni di euro che sarebbero stati destinati alla
ricapitalizzazione di Base. La lettera in questione, priva di data e sulla cui
autenticità si nutrono forti dubbi, vedeva un cittadino di nazionalità giordana,
qualificato quale socio del Gruppo Ifina, disporre l’esecuzione di un bonifico
del citato importo a favore della Banca catanese. L’operazione di
capitalizzazione che, secondo Bottino, avrebbe messo in salvo Banca Base,
doveva realizzarsi attraverso l’intervento di una Banca degli Emirati Arabi e
una società maltese. Anche qualora una simile operazione di immissione di
liquidità in Banca Base fosse stata realizzabile, a dir poco non trasparenti
apparivano i reali investitori e palese era la difficoltà di risalire ai reali
possessori delle disponibilità vista la presenza anche di soggetti collocati in
giurisdizioni non cooperative (tra le quali, Cayman). A tutto questo va
aggiunto l’intermediazione di un soggetto italiano gravato da precedenti
specifici per attività finanziaria abusiva, truffa, appropriazione indebita,
formazione fittizia del capitale e ostacolo all’esercizio delle funzioni di
vigilanza, bancarotta, trasferimento fraudolento di valori nonché il
rinvenimento da parte delle Fiamme gialle di file, quasi identici nel contenuto
alla lettera e all’ordine di bonifico esibiti da Bottino al cda, in alcune e-mail
inviate (un giorno prima del cda) dal responsabile antiriciclaggio di Base al
direttore Sannolo. Trattasi dell’ennesima operazione commerciale poco
trasparente, irrealizzabile per molti versi e tesa a procrastinare la vita di
un Istituto creditizio già in stato di dissesto. Nella circostanza, Pietro Bottino,
addirittura, nel febbraio 2018 (un giorno prima del commissariamento) si
affrettava a replicare a un articolo stampa apparso su un quotidiano intitolato
“Banca Base, c’è rischio di liquidazione coatta – ultima ispezione di Banca
d’Italia e dimissioni da parte dell’organo di controllo gettano ombre
sull’istituto di Bottino”: quest’ultimo arrivava ad affermare che le
informazioni contenute nel citato articolo erano “… oggettivamente destituite
di fondamento e atte, per la gravità intrinseca dei contenuti, a produrre un
effetto destabilizzante per l’attività istituzionale di banca Base, in
considerazione dell’idoneità a minare il rapporto di fiducia con la clientela e
l’azionariato e a turbare il mercato”, rassicurando, quindi, la clientela e
l’azionariato che “… sono avvenuti, sotto l’attuale gestione, due distinti
aumenti di capitale a dimostrazione dell’affidabilità dell’istituto, mentre è
in dirittura d’arrivo una nuova operazione di ripatrimonializzazione mediante
l’intervento di investitori internazionali”.
Ulteriore
condotta illecita attribuita all’allora presidente di Banca Base, Pietro Bottino,
si concretizzava nella redazione e presentazione in Consob del prospetto di
offerta, documento contenente dati patrimoniali di rilievo per orientare le
scelte degli investitori e propedeutico all’aumento di capitale imposto dall’Autorità
di vigilanza dopo che lo stesso, per effetto di perdite su crediti, era sceso
sotto la soglia dei 10 milioni di euro. In tale prospetto, Bottino, ricevuto
mandato dal cda, indicava un valore sovrastimato dei fondi propri della Banca
così traendo in inganno gli eventuali finanziatori di capitale proprio. A tale
rappresentazione ingannevole va aggiunto che, nel corso di un’ispezione di
Bankitalia, sono state individuate varie posizioni creditizie per le quali
Banca Base non aveva applicato sufficienti e prudenziali accantonamenti così
comunicando alle autorità del settore dati non veritieri ostacolandone le
funzioni di vigilanza. Da ultimo, la sottoscrizione di nuovi azionisti nel 2015
avveniva prevalentemente a Roma e non a Catania come autorizzato dalla Consob:
addirittura per eludere tale vincolo i modelli di sottoscrizione riportavano
falsamente quale località Catania e non Roma; in altre parole, si realizzava
un’offerta di titoli fuori sede abusiva.
La
celere e meticolosa investigazione economico-finanziaria degli specialisti
della Guardia di finanza ha dunque definitivamente fatto luce sulle
responsabilità e le ragioni del fallimento dell’istituto creditizio catanese
sulla cui operatività avevano mal posto la loro fiducia imprese e
risparmiatori.