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I sogni nel cassetto di Michele Guardì

All’anagrafe è Michelangelo Guardí, lo stesso nome di quel nonno, che gli ha raccontato tante storie, contagiandogli anche la voglia di inventarne di altre.  Erano gli anni ‘50 e le sere d’estate, così come quelle dei lunghi inverni di provincia, andavano in qualche modo riempite di senso. Ricordi installati a Casteltermini, in quel vicolo, parallelo […]

Pubblicato 5 anni fa

All’anagrafe è Michelangelo Guardí, lo stesso nome di quel nonno, che gli ha raccontato tante storie, contagiandogli anche la voglia di inventarne di altre. 

Erano gli anni ‘50 e le sere d’estate, così come quelle dei lunghi inverni di provincia, andavano in qualche modo riempite di senso. Ricordi installati a Casteltermini, in quel vicolo, parallelo al centralissimo corso Umberto, dove ancora, nel palazzetto di famiglia, vive Rosanna, sorella del noto regista televisivo. Michele Guardí, come ogni anno, trascorre le ferie estive tra la sua casa di campagna a Casteltermini e quella di città ad Agrigento. Settantasei primavere, la maggior parte delle quali vissute a Roma, dove Guardí si è consacrato come uno dei registi televisivi più celebri della storia della tv italiana. Eppure Guardí mantiene quel riconoscibilissimo accento, spiccatamente castelterminese e quell’appeal di chi desidera sentirsi ancora un po’ provinciale. Ama un aggettivo: garbato. Lo usa spesso: parlando di cibo, di fare tv, nel definire se stesso. Guardí è un regista storico, che ha attraversato almeno un paio di ere della tv italiana, confezionando intrattenimento per il fantomatico italiano medio, giudice quasi assoluto quando si parla di auditel.

Avvocato Guardí, cosa farà di bello durante le ferie siciliane?

“Mi riposeró, scegliendo di far suonare la mia sveglia quando ne avró voglia. Vuoi alle 7 del mattino vuoi alle 11, così come dovrebbe essere quando si è in vacanza. Lo scorso anno in estate mi sono dedicato alla stesura del secondo romanzo (il primo,  Fimminedda, è uscito nel settembre del 2017). Scrivere, ricordare, correggere, è comunque un lavoro mentale a volte anche impegnativo. Quest’anno relax, tra Agrigento e Casteltermini. Me lo merito no?”.

La sua giornata vacanziera tipo?

“Sveglia  quando mi va, quindi lettura dei giornali. Poi o un giro per la città o una puntatina al mare o una sosta nel mio giardino. Il mio pranzo è “garbato”. Mi spiego meglio, mi sveglio sognando la pasta al sugo con le melanzana fritte, ovvio che non posso mangiarla ogni giorno, ma mi piace da matti e com’è sicula la melanzana. Che dire poi dei cannoli di ricotta?  Ne ho appena gustato uno. Poco fa, un giovane e bravo pasticciere agrigentino me ne ha portati un vassoio intero”.

 Lei ha un rapporto familiare con la pasticceria siciliana

“Mia mamma era una Di Pisa e i Di Pisa dirigevano un laboratorio di pasticceria che riforniva di prelibatezze mezza Sicilia. Ricordo, da bambino, che mia zia Teresa aveva un suo rituale  nello scegliere la ricotta per farne la crema. Chiamava a raccolta i pastori della zona e iniziava l’assaggio. Era severissima. Se la ricotta sapeva di menta, perché nel pascolo magari vi era qualche piantina di piperita, rispediva al mittente le vascedde, con l’evidente delusione del pastore. La ricotta doveva sapere “di ricotta e di niente”. Quando zia Teresa eleggeva le vascedde, deputate a essere trasformate in deliziosa crema, partiva l’applauso e noi bimbi ne “trafugavamo” una, che mangiavamo ancora calda e a grandi bocconi. L’odore della crema di ricotta di quei tempi lo ricordo ancora a perfezione. Lo ricordo con la nostalgia legittima, che crea il pensiero di un’ infanzia felice”. 

Lei è siciliano di mare, però il suo paese le rimbalza sempre addosso. Ci racconti del suo posto del cuore a  Casteltermini

“Sicuramente la passeggiata “villa-San Giuseppe” i castelterminesi capiranno a cosa mi riferisco. Usava, ancora fino a un ventennio fa, specialmente la domenica, nei giorni di festa o nelle serate estive, far più d’una passeggiata lungo quel rettilineo, pieno di negozi e ingentilito da due bellissime chiese barocche e da palazzi d’epoca. Io mettevo l’abito buono e insieme al mio amico del cuore, di allora e di oggi, Gianni Reina, facevamo la “caminata villa-San Giuseppe”, ossia il tratto di strada, che parte dal villino comunale e arriva fino alla bellissima chiesa di San Giuseppe (la stessa chiesa che Guardí volle in un biglietto della lotteria Italia, abbinato al suo programma “Scommettiamo che…” e in diverse sue scenografie n.d.r). Ricordo la prudenza di mia mamma: dietro la finestra, che mi osservava senza farsi vedere, perché, tra una chiacchiera e l’altra, quella passeggiata si prolungava fino a notte fonda. Pare ieri ed è passato così tanto tempo. Quella passeggiata è un rito che onoro ancora. Ho un rapporto garbato con i miei compaesani. Mi piace ritrovarli, scambiare con loro quattro chiacchiere. Quando mi presentano ai loro figli e nipoti dicendo: “Lui è Guardí, il famoso regista”, io storco un po’ il naso. Preferisco essere presentato come il compaesano Guardí”.

Casteltermini e i castelterminesi sono l’anima del suo primo libro, Fimminedda

“Amo ricordare e la scrittura mi consente di appuntare la memoria, anzitutto per me e poi anche per chi vorrà leggermi. In Fimminedda tratteggio persone conosciute realmente e che meritavano, per un qualsiasi ragione, di essere immortalate nella pagina di un libro. Nella scrittura fermo anche luoghi che mi sono appartenuti e lo faccio con un bel lavoro di memoria, che mi fa rivivere il me bambino, quindi giovane e poi adulto. Insieme ripercorro i vicoli del mio paese, rivedo le chiese, i circoli, il palazzo della Pretura, dove ho difeso le mie prime cause. Anche il nuovo libro parla di Casteltermini e racconta una sorta di tangentopoli paesana, in salsa di giallo, con il ricordo di meccanismi storici paesani. Ma non anticipo altro, scoprirete tutto a inizio 2020, quando il romanzo sarà in libreria”.

Guardi oltrechè regista anche scrittore?

“Mi definisco più un raccontatore, un po’ alla stregua di mio nonno Michelangelo che, la sera, nel cortile di casa, radunava i parenti, gli amici  e i vicini. Alla fioca luce di un lume, poggiato su una seggiola di vimini, raccontava storie della tradizione e ne inventava di altre e bellissime. Ne ricordo una in particolare, quella della Bianca Russina, una donna bella, dalla pelle candida e dai capelli rossi, per conquistare la quale gli uomini erano disposti a consumare chissà quante scarpe di ferro. Quanta fantasia aveva mio nonno e come narrava bene”.

Anche lei è nonno, ci racconti di nonno Michele  Guardí.

“Mio figlio Alessandro (lo scrittore Alessandro Salas n.d.r) mi ha reso nonno di due bimbi, Tommaso di otto anni e Maria Sole di quattro. Essenzialmente mi definisco un nonno contento e gratificato. La mia nipotina è stata ribattezzata Michelina e sa perché? Perché ha il mio stesso carattere. Sa il fatto suo. La sera a ora di cena guarda tutti con autorevolezza e chiosa con voce squillante: “Forza, andiamo tutti a tavola!”

La tv, la sua terra, i suoi affetti e poi la sua devozione a San Calogero. Fede o tradizione?

“Sono credente e peccatore. Quella verso San Calogero è una devozione che nasce già da bambino. Per me la festa di San Calogero è la festa a stampatello. Nel mio paese il santo si festeggia l’ultima domenica di agosto. Il simulacro viene portato in processione dalla chiesa Madre fino a quella di San Francesco, nella parte alta del paese, attraverso un dedalo di stradine antichissime e sotto il sole cocente di mezzogiorno. Durante il tragitto i fedeli offrono la “pasta di San Caló”, una delizia, condita con fumante sugo di melanzane. Ecco, l’idea che in questa ricorrenza la gente sfili in processione con la forchetta in tasca invece che con la candela in mano mi fa letteralmente sciogliere. Oggi come ieri. Per tal ragione sono puntuale ogni anno all’appuntamento con San Caló. Mi piace pensare a questo santo che risolve bisogni puramente alimentari. Ad Agrigento lanciano il pane, rituale che rischiava erroneamente di essere abolito. Le logiche della religiosità e del popolo dei fedeli vanno a volte oltre ogni logica e va bene così. La devozione a San Calogero, nero di pelle eppure veneratissimo, ci insegna quanto le differenze somatiche siano meno che un contrappunto”.

Quando si dice Guardí non si può non pensare a Enzo Di Pisa.

“La ragione per cui io faccio questo lavoro la devo a mio cugino Enzo. Quanti ricordi: freschi di laurea, a Casteltermini, lui era assistente dentista e io avvocato, ma avevamo dentro l’amore per lo spettacolo. Organizzavamo delle serate di cabaret, intitolato il Punicipio. Io volevo lavorare in poltrona lui mi diceva che in poltrona si poltrisce. Quindi mi costringeva a preparare in piedi i pezzi del cabaret nelle ore più calde delle giornate estive. Cominció tutto da lí. Lo penso ogni giorno ed ogni giorno mi manca. Abbiamo mosso insieme i primi passi a Roma: giovani, sprovveduti, con al seguito le nostre mogli ed i nostri bimbi, pochi soldi in tasca dentro una città senza fine. Poi è andata come sapete (Enzo Di  Pisa è stato una delle vittime del disastro aereo di Punta Raisi del 23  dicembre del 1978. Con lui morì anche la giovane moglie Letizia e la figlia Mariliana). Enzo è parte di questo percorso e gli devo parecchio”. 

Tornerá il premio dedicato a Enzo Di Pisa?

“Qualche giorno fa, Luca Nobile, un assessore della neo giunta insediatasi a Casteltermini, mi ha fatto un sms. Mi ha chiesto collaborazione per organizzare qualche evento  in paese. Mi sono precipitato al comune e da lí è nata l’idea di conferire il premio Enzo Di Pisa 2019. Lo faremo il 4 agosto, giorno di  San Vincenzo Ferreri, patrono del paese. Mi sono attivato per organizzare il concerto di Daria Biancardi e quella sera daremo il premio a un attore. Ancora però non abbiamo stabilito il o i vincitori. Mi farà piacere essere presente e ricordare mio cugino nel paese dove siamo nati e dove abbiamo mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo. Ho voluto collaborare e appoggiare l’entusiasmo della giunta assolutamente fuori da ragioni e colori politici, ma solo nello spirito di fare qualcosa di bello per il mio paese”.

A settembre si riparte con I fatti vostri.

“I fatti vostri è il programma tv più longevo d’Europa. Molti mi chiedono il segreto di questo successo e io rispondo sempre che se vi fosse un segreto non lo svelerei. Molto semplicemente racconto cose che mi piace sentire e vedere. Mi reputo un telespettatore medio di gusto medio, da sempre ostile ai doppi sensi e alle volgarità. Il telespettatore va sempre rispettato. Se una battuta può fare ridere 2 milioni di persone ma ne offende una, quella battuta non va fatta. La penso così da sempre, da quando faccio tv. A settembre ripartiamo con la stessa squadra e con quel modo di fare televisione che ci accompagna da quasi trent’anni”.

In diretta lei appare brioso, simpatico. In regia però ci risulta sia severissimo. Sono celebri i suoi rimproveri.

“È vero. Sono severo, quasi implacabile. Ma sono un perfezionista. In regia ci deve essere silenzio assoluto per lavorare bene e non si sgarra. Guardí da Guardí pretende il massimo. Dalla squadra serietà e impegno totale. A telecamere spente poi si va anche a cena insieme ridendo e scherzando. A lavoro io sono il regista Guardí che vuole dare il meglio ed esige il rispetto assoluto delle regole”.

Che tv guarda Guardí e quali registi predilige?

“Amo tutto ciò che ha che fare con la storia, mi piacciono i programmi di Piero e Alberto Angela. Guardo i talk show, quelli che non degenerano in urla confuse. Sono un telespettatore assiduo di Porta a porta. Registi: di cinema Germi, di tv Guardí”.

Film preferito?

“Il Gattopardo ed il Padrino. Pensi che una volta feci un lunghissimo viaggio in treno da Roma a Palermo. Nel mio stesso vagone c’era un tizio dall’aria interessante, con tre macchine fotografiche al collo. Sa chi era? Francis Ford Coppola. Peccato, posso solo dire di averlo visto ma non di averlo conosciuto. Scoprii che era lui una volta scesi dal treno. Pazienza”.

Come ha imparato a fare il regista e quando ha capito che ce l’aveva fatta?

“Faccio il regista in maniera molto istintuale. Non ho fatto scuole o frequentato corsi. Ho iniziato come autore e lavorato per diversi anni con Antonello Falqui. Il mio modo di fare regia è attento, quasi certosino, penso però che per curare bene la regia di un programma non siano necessarie dieci telecamere, ne bastano tre, ma ben dirette. Attenzione massima, concentrazione e silenzio. Questo è il clima che voglio quando sono in regia. Ho capito che ce l’avevo fatta quando, nel 1983, abbiamo vinto La Rosa d’oro con il programma Al Paradise insieme ad Antonello Falqui. Da lì a poco ebbi il primo contratto in esclusiva con la Rai e capii che il sogno si era realizzato”.

Sogno nel cassetto di Guardí?

“Continuare a lavorare così per come sto lavorando e vivere serenamente in famiglia. Mi ritengo  una persona media, ho di me un’opinione garbatamente positiva. Più che un artista mi sento un artigiano e non amo fare grandi previsioni. Continuare la mia vita così per come la sto vivendo mi pare un buon sogno nel cassetto”.

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