Cattolica Eraclea

L’omicidio del marmista di Cattolica Eraclea, carabinieri in aula: riaperta istruttoria

In primo grado il tribunale di Agrigento ha condannato a ventiquattro anni di reclusione l’unico imputato, l’operaio Gaetano Sciortino

Pubblicato 1 anno fa

Entra nel vivo il processo di secondo grado per l’omicidio di Giuseppe Miceli, marmista di Cattolica Eraclea, ucciso all’interno del suo laboratorio in via Crispi la sera del 6 dicembre 2015. Sul banco degli imputati siede Gaetano Sciortino, operaio, condannato lo scorso anno in primo grado a ventiquattro anni di reclusione.

I giudici della Corte di Assise di Appello di Palermo hanno riaperto l’istruttoria dibattimentale e questa mattina sono stati sentiti tre dei cinque carabinieri chiamati a deporre. Si tratta di due marescialli del Comando provinciale di Agrigento e un tenente colonnello del Reparto investigazioni scientifiche di Messina che si sono occupati delle indagini. Altri due militari dell’Arma, tra cui un luogotenente del Ris, verranno ascoltati nella prossima udienza dell’11 aprile. La Corte ha già fissato la data (22 aprile) della requisitoria del sostituto procuratore generale Giuseppe Fici. Al centro del processo l’omicidio del marmista Giuseppe Miceli.

In primo grado il tribunale di Agrigento ha condannato a ventiquattro anni di reclusione l’unico imputato, l’operaio Gaetano Sciortino, riconoscendogli tuttavia le attenuanti generiche ed escludendo l’aggravante dei futili motivi. Il sostituto procuratore Gloria Andreoli aveva invece chiesto la condanna all’ergastolo. Il movente del delitto non è mai stato del tutto chiarito. La svolta investigativa arriva quasi due anni dopo l’omicidio.

Ad “incastrare” Sciortino, secondo l’impianto accusatorio che ha trovato una prima conferma nella sentenza di primo grado, tre elementi: il ritrovamento di una scarpa in un’area rurale la cui impronta sarebbe compatibile con quella repertata dai RIS sulla scena del crimine, il presunto pedinamento del giorno precedente e la distruzione di alcune punte da trapano da parte dei figli dell’imputato (intercettati) che appartenevano alla vittima. Il fratello della vittima si è costituito parte civile nel processo, rappresentato dagli avvocati Nino Gaziano e Salvatore Di Caro, e gli era stata riconosciuta una provvisionale di 20 mila euro oltre al risarcimento del danno. L’imputato è difeso dagli avvocati Santo Lucia e Giovanna Morello. 

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *