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Camastra, sentenza Vultur: “Nessun impegno del sindaco Cascià in favore dei Meli”

C’era molta attesa legata alle motivazioni della sentenza nell’ambito del processo Vultur, scaturito dall’omonima inchiesta della Squadra mobile di Agrigento eseguita nel 2016, che ha di fatto posto tutte le attenzioni investigative su Camastra, piccolo paesino della provincia di Agrigento. Il verdetto di primo grado è ormai storia con le conseguenti condanne inflitte a tutti […]

Pubblicato 5 anni fa

C’era molta attesa legata alle motivazioni della sentenza
nell’ambito del processo Vultur, scaturito dall’omonima inchiesta della Squadra
mobile di Agrigento eseguita nel 2016, che ha di fatto posto tutte le
attenzioni investigative su Camastra, piccolo paesino della provincia di
Agrigento.

Il verdetto di primo
grado è ormai storia con le conseguenti condanne inflitte a tutti gli imputati:
Saro Meli, alias “u puparu”,
capo della locale famiglia, condannato a 17 anni e 6 mesi; il figlio Vincenzo, considerato a tutti gli
effetti organico alla cosca, condannato a 14 anni e 6 mesi ; il tabaccaio del
paese Calogero Piombo, “fedelissimo
dei Meli, condannato a 13 anni e 6
mesi; Calogero “Lillo” Di Caro,
personaggio di un notevole spessore criminale considerato vertice della mafia
di Canicattì, condannato a 22 anni
di carcere.

Pesanti condanne che
hanno fatto luce su un giro di estorsioni ad una ditta di onoranze funebri e un
controllo del territorio capillare.

La sentenza, letta in
aula dal presidente Luisa Turco,
apre però importanti spunti soprattutto per quanto riguarda la parte politica della vicenda considerato
anche che il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Tra i reati
contestati alla famiglia Meli,
infatti, c’era anche quello di aver tentato di condizionare la campagna
elettorale del 2013 in favore dell’allora candidato a sindaco (poi eletto) Angelo Cascià.

L’amministrazione
guidata da quest’ultimo – in seguito all’operazione Vultur – venne prima “attenzionata” dai commissari
prefettizi e successivamente, era aprile dello scorso anno, sciolta dal Consiglio dei Ministri per “ingerenze
della criminalità organizzata”
.

Un’accusa, questa,
che seppur mai mossa direttamente al primo cittadino Cascià (non è mai stato raggiunto da avvisi di garanzia) ha
inevitabilmente lasciato strascichi che ancora oggi si protraggono nel tempo
con una vicenda giudiziaria avanti al Tar.

Le motivazioni della
sentenza, proprio su questo aspetto, fanno chiara luce: “Va evidenziato che
non si ritiene sufficientemente provata nel presente procedimento la condotta
degli odierni imputati relativa all’intervento sulle istituzioni e la pubblica
amministrazione per impedire o comunque ostacolare il libero esercizio del voto
o comunque di procurare voti ad altri in occasione delle consultazioni
elettorali […] va rivelato che in nessuna delle conversazioni intercettate,
dalle quali può sicuramente desumersi il compiacimento di Meli per l’elezione
di Cascià, può evincersi un impegno del Cascià in cambio dell’appoggio
elettorale, a favorire, una volta eletto, l’associazione e i suoi appartenenti”.

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