Mafia

Il giorno del ricordo di Rosario Livatino, 33 anni fa l’omicidio del giudice beato 

La stidda uccideva 33 anni fa Rosario Livatino, primo giudice beato nella Chiesa cattolica

Pubblicato 3 mesi fa

FOTO DI SANDRO CATANESE

Ricorre oggi il 33esimo anniversario dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, massacrato dalla Stidda il 21 settembre 1990 a colpi di arma da fuoco, mentre con la sua vecchia Ford Fiesta stava spostandosi da Canicattì al tribunale di Agrigento. Ieri, nella chiesa di San Domenico di Canicattì c’è stata una veglia di preghiera presieduta da don Giuseppe Livatino, già postulatore diocesano della causa Livatino, poi una fiaccolata ha raggiunto la chiesa di San Diego davanti la quale è stato collocato un mezzobusto del magistrato beato realizzato dal maestro Lillo Costanza. Stamani, dopo la funzione eucaristica presieduta da monsignor Alessandro Damiano, arcivescovo metropolita di Agrigento, una delegazione del Consiglio superiore della magistratura, guidata dal vice presidente Fabio Pinelli, è stata a Canicattì ed ha visitato la “cappella Livatino Corbo”. Come da tradizione, sul luogo dell’agguato – in contrada San Benedetto lungo il vecchio tracciato della strada 640 – è in corso, alla presenza delle autorità civili e militari, l’omaggio alla “stele Livatino” fatta erigere, il 20 settembre del 1994, con regolari autorizzazioni e a proprie spese dagli anziani genitori in ricordo del loro unico figlio. Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica. La cerimonia di beatificazione si è svolta il 9 maggio 2021 nella cattedrale di Agrigento, nell’anniversario della visita apostolica di papa Giovanni Paolo II nella città dei Templi. La sua ricorrenza si celebra il 29 ottobre, giorno in cui nel 1988, a 36 anni, ricevette il sacramento della confermazione, come compimento di un travagliato percorso di fede che abbracciò da adulto con convinzione. “La giustizia – scriveva – è necessaria, ma non sufficiente e può e deve essere superata dalla legge della carità, che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio”. La camicia portata da Livatino il giorno della morte, e rimasta intrisa di sangue, è divenuta una reliquia che sta girando la penisola.

Un martire della giustizia. Magistrato probo, coraggioso, spinto dai grandi valori trasmessi dalla famiglia, ligio alla rettitudine e sorretto da una fede profondissima, capace, secondo le carte raccolte nel processo di beatificazione, di avere compiuto dopo la morte due miracoli. La vita di Rosario Livatino – ucciso 33 anni fa dalla mafia nelle campagne di Agrigento, definito giudice ‘ragazzino’ per la sua giovane eta’ e per il coraggio misto ad una esperienza davvero inusuale a dispetto dell’eta’ – e’ stata e rimane ancora una testimonianza di impegno civico, di aderenza ai valori della Costituzione, di profondo amore verso la legalita’. Una carriera fulminante la sua. Cresciuto in una Canicatti’ intorbidita dagli interessi mafiosi, nel 1975, a 23 anni si laurea in Giurisprudenza a Palermo. Tre anni dopo il suo ingresso in magistratura: prima tappa Caltanissetta, poi Agrigento.

In poco piu’ di un decennio ha combattuto le varie consorterie criminali della provincia, concentrando il suo impegno verso la nascente e temibilissima ‘Stidda’, gruppo attivo in quel lembo di terra che si affaccia sul canale di Sicilia, da Agrigento a Gela. Fu la ‘Stidda’ a decidere di eliminarlo. Era il 21 settembre del 1990. Come tutte le mattine, a bordo della sua vecchia Ford Fiesta color amaranto, senza alcun agente di scorta a difenderlo, stava raggiungendo Agrigento da Canicatti’ lungo la strada statale 640. Al chilometro 10 la Fiesta fu speronata dall’auto del commando formato da quattro killer. Livatino cerco’ riparo lanciandosi nella scarpata. Una fuga disperata e inutile: i sicari lo braccarono e lo uccisero senza pieta’, lasciandolo a terra, inerme, in una pozza di sangue. Fu l’atto finale della vita di un servitore dello Stato, massacrato in mezzo al nulla, nella campagna brulla di fine estate.

Proprio li’, oggi una stele ne ricorda il sacrificio. Dell’omicidio fu testimone Pietro Nava, un imprenditore lombardo rappresentante di porte blindate. Le sue dichiarazioni, affidate ai magistrati che indagarono sulla morte del giudice, si rivelarono utilissime per chiudere il cerchio attorno ai killer, che furono arrestati. Uno di essi, Gaetano Puzzangaro, ‘picciotto’ della famiglia di Palma di Montechiaro, dopo essersi pentito e convertito, in questi anni ha dato un contributo importante alla causa di beatificazione di Livatino. Processo di beatificazione avviato nella sua fase diocesana nel 2011 a firma dell’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro e che si e’ concluso nel 2018 con l’invio di quattromila pagine, tra testimonianze e ricostruzioni, alla Congregazione delle cause dei Santi. Tra i miracoli attribuiti a Livatino due prodigi che sarebbero avvenuti con la sua intercessione su due donne, entrambe colpite dalla leucemia e successivamente guarite.

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