Mafia

Il mandamento mafioso di Canicattì: 15 anni e 4 mesi all’avvocato Porcello

Ecco la sentenza di primo grado del processo Xidy

Pubblicato 1 anno fa

Quindici condanne e cinque assoluzioni. Si chiude il primo capitolo giudiziario della maxi inchiesta “Xidy” – eseguita dai carabinieri del Ros nel febbraio scorso – facendo luce sui nuovi assetti del mandamento mafiosi di Canicattì e sulla riorganizzazione della Stidda, organizzazione criminale parallela a Cosa Nostra, protagonista negli anni novanta di una sanguinosa guerra di potere. L’inchiesta è stata coordinata dai pm della Dda di Palermo, Claudio Camilleri, Gianluca De Leo e Francesca Dessi’,

Il gup del tribunale di Palermo, Paolo Magro, ha inflitto le pene più alte ai personaggi ritenuti al vertice del mandamento: Giancarlo Buggea (20 anni), considerato tra gli uomini più influenti in cosa nostra agrigentina; Luigi Boncori (20 anni), considerato il capo della famiglia mafiosa di Ravanusa; Lillo Di Caro (20 anni), da anni al vertice della mafia di Canicattì; Giuseppe Sicilia (18 anni e 8 mesi), ritenuto dagli inquirenti il capo della famiglia di Favara; Gregorio Lombardo (17 anni e 4 mesi), di Favara. Tra i condannati anche Simone Castello (12 anni), ex “postino” del boss corleonese Bernardo Provenzano. 

Uno dei personaggi chiave dell’intera inchiesta è l’ormai ex avvocato Angela Porcello. Il giudice le ha inflitto 15 anni e 4 mesi di reclusione. L’ex penalista, ex compagna di Buggea, è ritenuta cassiera del mandamento. La Porcello ha tentato di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia non venendole però mai riconosciuto lo status. Cinque le assoluzioni. L’unico “assente”, la cui posizione è stata stralciata, è il superlatitante Matteo Messina Denaro anche lui destinatario del provvedimento di fermo nel febbraio scorso.

In questo stralcio processuale sono coinvolti anche un altro avvocato, Annalisa Lentini, e un poliziotto, Giuseppe D’Andrea: la prima è stata condannata a 1 anno e 8 mesi per falso e procurata inosservanza di pena. Avrebbe contraffatto la data di spedizione di una raccomandata al fine di rimediare a un errore nella presentazione dell’atto di appello di una condanna, nei confronti di un cliente della Porcello, che era diventata definitiva; l’agente di polizia, invece, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi. 

Nove, invece, gli imputati che seguono il rito ordinario e che sono attualmente a processo davanti i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Agrigento: Giuseppe Falsone, boss ergastolano di Campobello di Licata e capo provinciale di Cosa Nostra; Antonino Chiazza, 51 anni, di Canicattì; Pietro Fazio, 48 anni, di Canicattì; Santo Gioacchino Rinallo, 61 anni di Canicattì; Antonio Gallea, 64 anni di  Canicattì; Filippo Pitruzzella, 60 anni, ispettore della polizia in pensione; Stefano Saccomando, 44 anni di Palma di Montechiaro; Calogero Lo Giudice, 47 anni di Canicattì; Calogero Valenti,  57 anni, residente a Canicattì.

LE CONDANNE

Giancarlo Buggea (20 anni); Angela Porcello (15 anni e 4 mesi); Giuseppe Grassadonia (8 mesi); Giuseppe Giuliana (8 anni e 8 mesi); Calogero Di Caro (20 anni); Calogero Paceco (8 anni); Simone Castello (12 anni); Gregorio Lombardo (17 anni e 4 mesi); Luigi Boncori (20 anni); Giuseppe Sicilia (18 anni e 8 mesi); Giuseppe D’Andrea (3 anni e 4 mesi); Gaetano Lombardo (3 anni e 4 mesi); Annalisa Lentini (1 anno e 8 mesi); Diego Emanuele Cigna (10 anni e 6 mesi)

LE ASSOLUZIONI

Giuseppe Pirrera, Giovanni Nobile, Antonino Oliveri, Luigi Carmina, Gianfranco Gaetani

IL COLLEGIO DIFENSIVO

Gli avvocati del collegio difensivo sono – tra gli altri – Giuseppe Scozzari, Giuseppe Barba, Calogero Meli, Daniela Posante, Lillo Fiorello, Antonino Gaziano, Giuseppe Vinciguerra, Salvatore Manganello, Giovanni Castronovo, Salvatore Pennica. “La decisione circa la pena, che ci sembra oltremodo esagerata, ci coglie di sorpresa -commenta l’avvocato Giuseppe Scozzari che difende Angela Porcello – Ci riserviamo una più approfondita valutazione all’esito della lettura delle motivazioni. Ci pare tuttavia che la ratio del rito abbreviato sia stata di fatto vanificata e non sia stata tenuta in debito conto la collaborazione offerta dalla mia assistita. Certamente questa sentenza non costituisce un bel segnale per quanti, anche lontanamente, pensano di intraprendere la via della collaborazione, con tutti i rischi che ne conseguono.”

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