Mafia

La morte del boss di Sciacca Totò Di Gangi, chiesto rinvio a giudizio del capotreno

Era stato fatto scendere dal treno perchè sprovvisto di green pass

Pubblicato 1 anno fa

Il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Genova, Federico Manotti, ha avanzato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di DomenicoTripodi, 61 anni, capotreno, per l’ipotesi di reato di abbandono di persona incapace. Arriva ad una svolta l’inchiesta sulla morte del boss di Sciacca Salvatore “Totò” Di Gangi, deceduto dopo essere stato travolto da un treno la sera del 27 novembre del 2021. Il capomafia  era stato scarcerato nel pomeriggio e doveva prendere alcuni treni per ritornare a Sciacca e scontare il resto della condanna agli arresti domiciliari a causa delle sue condizioni di salute. 

Gli inquirenti contestano adesso al controllore, in servizio sull’Intercity Notte 35299, l’aver fatto scendere l’anziano boss dal treno poiché sprovvisto di Green Pass e non aver avvisato la Polfer nonostante si trattasse di una persona invalida e che camminava con l’ausilio di due stampelle. Di Gangi, una volta sceso dal treno, imboccò erroneamente il binario 20 della stazione Principe finendo in una galleria dove fu travolto da un treno merci di passaggio. A decidere sul rinvio a giudizio del capotreno sarà il gup Riccardo Ghio. I familiari, con l’assistenza dell’avvocato Cianferoni, si sono costituiti parte civile contro l’imputato ma anche contro Trenitalia e Rfi. 

Totò Di Gangi non era un personaggio comune. Per 30 anni ha gestito Cosa nostra di Sciacca e guidato la provincia mafiosa, insieme a Giuseppe Capizzi e Antonio Di Caro, in un momento storico di grande confusione dell’organizzazione criminale in provincia di Agrigento le cui sorti, appunto, vennero affidate ad un triunvirato. Di Gangi stava scontando nel carcere di Asti 17 anni di reclusione per effetto della sentenza scaturita dall’inchiesta antimafia “Montagna” del 2018. Venerdì scorso aveva ottenuto una insperata libertà per gravi motivi di salute disposta dalla Corte d’Appello di Palermo ed era stato autorizzato a raggiungere la sua abitazione «libero e senza scorta», con l’imposizione del giudici di non contattare nessuno se non il medico curante e la famiglia. Secondo le ultime perizie mediche (una psichiatrica, in particolare) l’anziano boss presentava “gravi deficit cognitivi”. E potrebbe essere stata questa grave patologia a provocare la sua morte con il tragico attraversamento della galleria ferroviaria inibita ai pedoni. 

Il boss era finito nuovamente nei guai lo scorso ottobre nell’ambito dell’indagine sul resort Torre Macauda, un albergo di lusso di Sciacca già al centro di diverse inchieste di mafia. Secondo le accuse del nucleo di polizia economico e finanziaria della guardia di finanza di Palermo, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, il clan saccense sarebbe tornato in possesso del complesso turistico che era stato confiscato all’imprenditore Giuseppe Montalbano. Nativo di Polizzi Generosa si era trasferito a Sciacca e lavorava alle dipendenze di una banca. Poi, chiuso il mestiere di bancario, aveva aperto una agenzia di viaggi divenuta il suo quartiere generale. Arrestato e condannato per mafia (Operazione Avana del 1993 così chiamata perché il boss amava fumare solo quei sigari), Di Gangi, amico di Matteo Messina Denaro e soprattutto di “Mastro Ciccio” padre del latitante, riuscì a darsi latitante sino a quando, anni dopo, venne scovato dai carabinieri a Palermo nei pressi del Politeama. Aveva coltivato anche interessi politici quale militante nel P.R.I., tanto che per un certo periodo fu consigliere comunale di Polizzi Generosa, mentre dal 1983 al 1986 fu componente del Comitato di Gestione dell’Usl n. 7 di Sciacca. Punto di riferimento di Totò Riina a Sciacca condivise con il corleonese la strategia stragista degli anni 90.

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