Favara

Mafia, confiscati 500 mila euro ai fratelli Valenti: i particolari

Entrambi sono stati coinvolti e condannati nel processo antimafia Montagna. Le motivazioni

Pubblicato 2 anni fa

Cinque fabbricati, undici tra auto e mezzi, quote capitali di due società, conti correnti e anche un cavallo di razza.

La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento, agli ordini del vicequestore Roberto Cilona, ha eseguito – su disposizione del Tribunale Misure di Prevenzione di Palermo – una confisca beni per un valore di 500 mila euro nei confronti dei fratelli Gerlando e Stefano Valenti, imprenditori di Favara, coinvolti e condannati per concorso esterno in associazione mafiosa a 6 anni di reclusione nell’ambito della maxi operazione antimafia Montagna.

L’attività di indagine economico-finanziaria, espletata dagli investigatori della DIA di Agrigento ha consentito di appurare come i soggetti siano riusciti nel tempo ad incrementare il loro patrimonio attraverso i continui rapporti intrattenuti con i vertici mafiosi siciliani. L’attività è culminata dapprima in un provvedimento di sequestro e poi nel successivo provvedimento di confisca. Inoltre, per entrambi, è stata disposta la sottoposizione alla sorveglianza speciale di PS con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza. 

Queste le motivazioni della sentenza di Appello del maxi processo alla mafia della Montagna della provincia di Agrigento con riferimento alla posizione di Stefano e Gerlando Valenti.

“La posizione di Gerlando Valenti è affrontata alle pagine 421-435 della prima sentenza, cui integralmente si rinvia risultando le stesse completamente condivisibili.

Il secondo, Stefano Valenti, era originariamente imputato del delitto di cui al capo A) della rubrica. Questa che segue era la porzione di contestazione ascrittagli. All’esito della celebrazione del giudizio abbreviato, il Gup di prime cure aveva riqualificato anche la condotta ascritta al Stefano Valenti come quella di semplice concorso esterno, ai sensi degli articoli 110 e 416 CP, e lo aveva condannato, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate circostanze aggravanti ed escluso l’aumento  per la contestata recidiva, alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione, esattamente come il fratello Gerlando.

Le due posizioni sono sostanzialmente sovrapponibili.

Conseguentemente sono sovrapponibili gli ambiti di doglianza sviluppati negli scritti difensivi d’impugnazione avanzati nell’interesse di ciascuno dei due germani. In questo processo risulta infatti proposto un unitario rituale atto d’appello per Gerlando Valenti e due atti d’impugnazione per suo fratello Stefano Valenti. Nei gravami che, oltre ad avere gli stessi schemi organizzativi delle prospettate censure, sono largamente sovrapponibili tra loro, si chiedeva per entrambi i germani in primo luogo l’assoluzione dalla fattispecie delittuosa come riqualificata in sentenza (artt. 110 e 416 CP). Pur formalmente apprezzandosi il fatto che il Gup di primo grado avesse di fatto depotenziato molto le originarie contestazioni elevate a carico dei germani Valenti, si segnalava comunque come la condanna di entrambi, seppur per il solo concorso esterno, fosse comunque il frutto di erronee valutazioni. Né Gerlando né Stefano avrebbero mai svolto alcun ruolo di intermediazione in incontri tra uomini d’onore, la sentenza si baserebbe su un vistoso fraintendimento di quanto effettivamente avvenne il 23 aprile 2015, non è vero che Di Gangi avrebbe ammesso i fatti sul punto e, in sostanza, non vi sarebbe stato, in quel frangente nulla di illecito. Da qui la naturale richiesta – svolta coi medesimi argomenti in tutti gli appelli citati – di assoluzione di ciascuno degli imputati  dai reati loro attribuiti in sentenza, anche solo ai sensi dell’art. 530 cpv. Cpp.

Col secondo motivo si chiedeva l’espunzione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 IV comma CP, legata alla disponibilità di armi. Col terzo motivo si chiedeva l’espunzione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 VI comma CP, legata al controllo economico del territorio. Col quarto ed ultimo motivo si chiedeva la concessione delle circostanze attenuanti generiche con valutazione di prevalenza rispetto alle aggravanti contestate ed una diminuzione di pena, quest’ultima in ogni caso da computarsi secondo il regime normativo anteriore alla legge n. 69 del 2015. Questo in tutti e tre gli atti di impugnazione di cui si è detto.

Ricostruito in tal modo il contesto oggetto di questo giudizio d’appello, va subito detto come, ad avviso di questa Corte, nonostante le opposte prospettazioni dei descritti atti d’impugnazione, vada mantenuta nel merito – fatti salvi gli aggiustamenti sul trattamento sanzionatorio dei quali si dirà – la decisione condannatoria pronunciata in primo grado. La prima cosa da chiarirsi – e naturalmente vale per entrambe le posizioni ha carattere metodologico. Essa riguarda il fatto che larga parte del sotto testo delle impugnazioni censuri la sentenza di primo grado laddove, pur avendo nei fatti escluso il ruolo organico dei germani Valenti in Cosa Nostra e pur avendoli assolti dalle estorsioni loro originariamente contestate, avrebbe tuttavia finito, con  quella  che  i  gravami  definiscono  una  frattura  logica,  per condannarli comunque, per concorso esterno nel delitto di cui all’art. 416 bis CP.

Basta leggere, ad esempio i fogli 5 e 6 dell’impugnazione per Valenti Gerlando per toccare con mano il patente equivoco. Tuttavia, quel che risulta dalla lettura delle pagine citate della sentenza di primo grado, è del tutto coerente e logico. Infatti, il Gup di primo grado, avendo ravvisato che dagli atti del processo non risultassero estremi significativi per sancire giudiziariamente l’intraneità dei due germani al sodalizio mafioso organizzato, aveva comunque valorizzato l’episodicità di un singolo episodio, per ritenere la sussistenza del concorso esterno, con percorso motivazionale ligio agli orientamenti di legittimità, coerente e condivisibile. Non vi  è dunque alcuna contraddizione ed è sovrabbondante insistere ancora su altri profili fattuali diversi da quelli valorizzati in primo grado per pronunciare la condanna ai sensi della circoscritta ipotesi di cui agli artt. 110 e 416 bis CP. Dunque, i fatti che hanno visto il clamoroso coinvolgimento dei due fratelli Valenti Stefano e Gerlando riguardano un incontro per la discussione di affari di mafia avvenuto nei pressi dell’Ospedale di Sciacca in data 23 aprile 2015.

Su ciò occorre focalizzare le cure motivazionali, al fine di dimostrare, oltre ogni dubbio, la causale del summit e, dunque, dell’ausilio prestato dai prevenuti. Si può qui riportare, in termini riepilogativi, quanto scritto dal Gup di primo grado in sentenza. Serve a comprendere l’esatto dimensionamento degli accadimenti. Scriveva  testualmente,  nei  luoghi  citati,  sulla  scorta  degli  esiti  delle captazioni, dei servizi di osservazione e dei pedinamenti che sono stati la cifra caratteristica di quelle brillantissime indagini, il Gup, quanto segue nel riquadro. Partendo da questo lungo ma risolutivo inserto e coordinandolo con quanto pure dovrà vedersi, davvero non possono esservi dubbi sull’esigenza di confermare la sentenza di primo grado. Come si è veduto, Gerlando Valenti nei giorni precedenti l’incontro del 23 aprile 2015, si era reso parte diligente, rapportandosi a Calogerino Giambrone e Antonio Giovanni Maranto, per mettere in contatto, in un  incontro da definirsi  (che poi  avrebbe avuto luogo a Sciacca nella mattinata del 23 aprile 2015), Maranto e Di Gangi, anziano uomo d’onore di Sciacca, appunto. A Sciacca, entrambi i germani Valenti avevano avuto un ruolo attivo. Si erano infatti recati a prelevare Maranto appena giunto in auto nella ridente cittadina saccense – proprio come era stato concordato giorni prima per farlo incontrare con Di Gangi. Dopo l’incontro i due fratelli avevano riaccompagnato Valenti a raggiungere i sodali, fermi in sosta in un parcheggio, che lo stavano aspettando. Non vi sono ragionevoli dubbi, nonostante i gravami provino a screditare in ogni modo il nitore oggettivo di questa ricostruzione, sul fatto che l’incontro monitorato il 23 aprile 2015 abbia avuto riferimento a fatti illeciti di criminalità organizzata”.

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