Mafia

Mafia, confiscati beni per 1,6 milioni di euro a Ignazio Pullarà

I carabinieri del Ros hanno confiscato beni per circa 1.6 milioni di euro riconducibili ad Ignazio Pullarà, 73 anni, di San Giuseppe Jato, esponente di spicco della famiglia mafiosa di Palermo – Santa Maria di Gesù, di cui in passato è stato anche reggente, ed è oggi detenuto poichè condannato alla pena dell’ergastolo per omicidio. […]

Pubblicato 5 anni fa

I
carabinieri del Ros hanno confiscato beni per circa 1.6 milioni di euro riconducibili
ad Ignazio Pullarà, 73 anni, di San Giuseppe Jato, esponente di spicco della
famiglia mafiosa di Palermo – Santa Maria di Gesù, di cui in passato è stato
anche reggente, ed è oggi detenuto poichè condannato alla pena dell’ergastolo
per omicidio.

Il
provvedimento ha riguardato tre  immobili, in cui erano dislocate importanti attività
commerciali. In particolare, gli esiti giudiziari hanno riconosciuto la
riconducibilità al detenuto uomo d’onore di questi beni, formalmente di
proprietà dei fratelli Antonino e Salvatore Macaluso, rispettivamente di 58 e
54 anni, entrambi di Palermo.

Durante
le attività investigative svolte, sono stati puntualmente monitorati, captati e
riscontrati i rapporti di frequentazione e i connessi flussi di denaro fra i
fratelli Macaluso e alcuni affiliati alla famiglia mafiosa di Santa Maria di
Gesù tra cui l’uomo d’onore Gaetano Di Marco, di 68 anni, e Santi Pullarà, di
39 anni, figlio di Ignazio e anche lui condannato per la partecipazione
all’associazione mafiosa.

Lo
spiccato profilo criminale di Pullarà è emerso anche dal suo coinvolgimento
nelle complesse e sanguinose vicende che condussero negli anni ’80
all’eliminazione degli storici capimafia palermitani e dei soggetti a loro
vicini e, dunque, all’avvicendarsi al potere della cd. ala corleonese a cui si
associarono gli esponenti delle articolazioni mafiose palermitane, i quali
trovarono così modo di affermarsi dopo il vuoto di potere derivato dalle cd.
guerre di mafia.

In
proposito, il provvedimento di confisca ha evidenziato che la pericolosità di Pullarà
non solo deve certamente individuarsi come risalente ad un’epoca ancor
precedente alle prime condotte per cui è stato condannato, ma deve anche
ritenersi conservata sia durante lo stato di pluriennale latitanza, cessata ad
inizio degli anni ’90, e sia pure nel corso della successiva detenzione, alla
luce della documentata e perdurante possibilità di incidere nelle dinamiche
economiche del sodalizio mafioso e di vedere tuttora riconosciuto il proprio
sostentamento in carcere e quello dei familiari.

Il provvedimento
ha riguardato dei beni per un valore complessivo pari a circa 1,6 milioni di
euro, comprendenti 3 immobili (dove erano dislocate importanti attività
commerciali).

Durante
le attività investigative svolte, sono stati puntualmente monitorati, captati e
riscontrati i rapporti di frequentazione e i connessi flussi di danaro fra i
fratelli Macaluso e alcuni affiliati alla famiglia mafiosa di Santa Maria di
Gesù, tra cui l’uomo d’onore Gaetano Di Marco, 69 anni, e Santi
Pullarà,
40 anni, figlio di Ignazio e anch’egli condannato per la partecipazione
all’associazione mafiosa.

L’analisi
dei dati investigativi, derivanti anche da approfondite indagini bancarie, ha
consentito di acclarare che Antonino Macaluso, ricevuti i canoni a lui
corrisposti dai locatari degli immobili, procedeva sistematicamente, per il
tramite di Gaetano Di Marco, a farne avere cospicua parte a Santi Pullarà.

Quest’ultimo
in più occasioni manifestava espressamente sia la destinazione delle somme al
padre sia la regia di questi in ordine alle questioni salienti afferenti alla
gestione di detti immobili, permettendo di rilevare tipiche manifestazioni
dell’animus del proprietario (come l’interesse alla messa a reddito, al
mantenimento delle condizione strutturali e del valore, la manifestazione di
una possibile volontà di alienare i beni fissandone il prezzo).

Inoltre
è stata documentata la preoccupazione di Santi Pullarà in ordine all’eventuale
concorrenza commerciale di altre grosse aziende impegnate nel settore della
distribuzione, intenzionate ad avviare loro attività nei pressi di quelle
svolte negli immobili locati.

Del
pari, è stata rilevata la ferrea intenzione di Pullarà nel pretendere che – a
seguito di un incendio dovuto a cause accidentali – uno dei locatari dei
magazzini confiscati con l’odierno provvedimento acquistasse l’immobile da lui
utilizzato a una cifra altissima e assolutamente fuori mercato, stimata in due
milioni di euro.

Le
conversazioni intercettate, del resto, hanno chiaramente dimostrato che Santi
Pullarà – oltre ad amministrare il patrimonio immobiliare intestato ai Macaluso
nell’interesse e per conto del padre – allorquando mosso da autonome idee
imprenditoriali da concretizzare nei predetti immobili, si rivolgeva in maniera
naturale al contesto mafioso di riferimento.

Infatti,
è stato documentato che proprio Gaetano Di Marco ricordava a Santi Pullarà la
necessità di chiedere a Giuseppe Greco, esponente di vertice
del sodalizio mafioso di Santa Maria di Gesù, l’autorizzazione per dare corso
alle sue iniziative economiche, così come previsto dalle ferree regole di Cosa nostra
per il controllo del tessuto territoriale e imprenditoriale valide anche per
gli affiliati.

Infine,
grazie alle ampie risultanze investigative, è stato valutato come, a fronte
delle ingenti risorse economiche gestite dai Pullarà e dell’alto tenore di vita
documentato, nessuno degli appartenenti al nucleo familiare abbia mai
dichiarato redditi o altre entrate significative.

In tale
contesto è dunque risultato evidente che la famiglia Pullarà ha potuto contare
su risorse di provenienza illecita – ab origine – negli investimenti connessi
con l’acquisto dei terreni e con le successive edificazioni degli immobili
confiscati, esborsi chiaramente incompatibili con le condizioni economiche
rilevabili dai dati ufficiali.

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