Catania

Mafia, guerra tra clan con due omicidi: 14 arresti

Scatta l'operazione "Centauri" con 14 misure cautelari

Pubblicato 3 anni fa

Sono quattordici le misure cautelari per la sparatoria di Librino, alla periferia di Catania, dello scorso 8 agosto, tra due gruppi criminali che si sono sfidati sulla rampa di viale Grimaldi a colpi di kalashnikov e pistole, lasciando sul selciato due morti, sei feriti e centinaia di bossoli. Il blitz dei carabinieri del comando provinciale coordinati dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Alessandro Sorrentino, e’ scattato all’alba per notificare un’ordinanza di custodia cautelare in carcere ai 14 appartenenti ai Cursoti milanesi e a affiliati del clan Cappello. Sono accusati a vario titolo, di concorso in duplice omicidio (vittime furono Luciano D’Alessandro, di 43 anni, ed Enzo Scalia, di 29, detto Enzo ‘negativa’), 6 tentati omicidi e porto e detenzione illegale di armi da fuoco in luogo pubblico, tutti con l’aggravante di avere agito per motivi abbietti e avvalendosi delle condizioni previste dall’associazione di tipo mafioso, al fine di agevolare i clan di appartenenza.

Gli arrestati. Roberto Campisi, 50 anni; Massimiliano Cappello, 54 anni; Sebastiano Cavallaro, 29 anni; Renzo Cristaudo, 28 anni; Gaetano Ferrara, 34 anni; Luciano Guzzardi, 57 anni; Lorenzo Antonino Santo Guzzardi, 28 anni; Salvuccio Lombardo jr, 27 anni; Giovanni Nicolosi, 20 anni; Gaetano Nobile, 36 anni; Rinaldo Puglisi, 46 anni; Agatino Michael Sanfilippo, 22 anni; Rosario Viglianesi, 22 anni. 

LE INDAGINI

Le indagini hanno consentito di ricostruire gli accadimenti e di definire le responsabilità personali in ordine ai gravissimi fatti di sangue avvenuti a Catania in data 8 agosto 2020, quando un nutrito gruppo di soggetti, costituito sia da semplici affiliati che da esponenti di vertice delle organizzazioni mafiose dei “Cursoti Milanesi” e del clan “Cappello”, entrambe operanti nel territorio etneo, decideva deliberatamente di affrontarsi in armi sulla pubblica via, causando due morti e diversi feriti. Esito che poteva essere ben più grave se si considera che il gravissimo episodio si verificava nelle ore serali del mese estivo di agosto e soprattutto nel popoloso quartiere di Librino, nei pressi di un comparto abitativo caratterizzato da un’elevata densità popolare ove i residenti sono soliti stazionare su suolo pubblico.

Le prime risultanze investigative, oltre a fornire una iniziale ricostruzione dell’accaduto e a condurre all’individuazione di alcuni soggetti coinvolti nel conflitto a fuoco, consentivano  l’emissione, in data 16.8.2020, di due ordinanze di convalida di fermo di indiziato di delitto e di applicazione della custodia in carcere nei confronti, rispettivamente, di Carmelo Di Stefano, considerato l’elemento apicale del gruppo mafioso dei Cursoti Milanesi, e di Martino Carmelo Sanfilippo, altro esponente della medesima organizzazione criminale nonché uomo di fiducia del Di Stefano.

Per quanto, come era naturale attendersi, il contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori riflettesse inevitabilmente la specifica posizione rivestita, il particolare punto di vista e l’esperienza personalmente vissuta da ciascuno di essi, il narrato si rivelava reciprocamente convergente e sostanzialmente sovrapponibile sia avuto riguardo al nucleo e ai punti essenziali riguardanti la ricostruzione degli avvenimenti sia quanto ai soggetti coinvolti e resisi responsabili delle azioni delittuose. La valenza del quadro probatorio era ulteriormente rafforzata dalla circostanza, rilevantissima, che la ricostruzione proveniva da soggetti facenti parte delle due fazioni contrapposte che non avevano avuto rapporti tra loro e che, quindi, non potevano in alcun modo aver concordato quanto dagli stessi riferito in sede di istruttoria.

Gli arrestati dell’operazione Centauri

Dopo l’emissione dei provvedimenti cautelari, l’attività di indagine proseguiva senza soluzione di continuità giovandosi, tra l’altro, sia della collaborazione con la giustizia già avviata da Martino Carmelo Sanfilippo, sia di quella intrapresa da altri partecipanti al cruento episodio delittuoso. Ciò permetteva di disporre di gravissimi elementi indiziari, temi di indagine e spunti investigativi derivanti dalle propalazioni di soggetti legati ad entrambi i gruppi mafiosi che si erano contrapposti nel corso dei gravi fatti di sangue. Questo duplice e speculare compendio informativo consentiva, quindi, di espandere notevolmente il panorama investigativo a cui dedicarsi e allo stesso tempo di confrontare le differenti narrazioni dei fatti beneficiando di un ampio margine contenutistico per verificarne l’attendibilità intrinseca e la veridicità. 

In un’indagine complessa e articolata come quella in esame, condotta per lo più mediante  attività di acquisizione probatoria e investigativa tradizionale, i collaboratori di giustizia venivano esaminati necessariamente più volte, sia per la necessità di riscontrare i dati investigativi che sopraggiungevano nel corso dell’attività di polizia giudiziaria o emergevano dagli accertamenti tecnici, sia al fine di verificare costantemente la stessa attendibilità dei dichiaranti e stimolarne ulteriormente il ricordo per acquisire nuovi ed ulteriori elementi di indagine.

I collaboratori di giustizia, ciascuno con riferimento al gruppo criminale a cui era appartenente o si era comunque unito nell’occasione descrivevano e raccontavano l’antefatto della vicenda, il contrasto insorto tra Carmelo Di Stefano e Gaetano Nobile nonché quello tra Salvuccio Junior Lombardo e Giorgio Campisi, le fasi organizzative della spedizione e la dinamica effettiva del conflitto a fuoco. Il copioso materiale dichiarativo si rivelava pienamente congruo e corrispondente alle risultanze acquisite nel corso delle indagini.

In particolare, le dichiarazioni di Martino Carmelo Sanfilippo, permettevano l’identificazione di ulteriori indagati, componenti del gruppo armato dei Cursoti Milanesi, sino a quel momento ancora non individuati, i quali, sottoposti ad interrogatorio, di fronte a precise contestazioni, ammettevano la loro presenza sul luogo dei fatti esibendo, alcuni, financo le lesioni riportate a seguito dei colpi d’arma da fuoco ricevuti. 

Fondamentali, inoltre, si rivelavano le risultanze degli accertamenti balistici e medico-legali che riscontravano la veridicità delle dichiarazioni dei collaboratori in ordine alla tipologia delle armi utilizzate e alle specifiche condotte avute da numerosi indagati, fornendo, altresì, elementi decisivi per l’individuazione degli esecutori materiali dei due omicidi.

Dirimente, poi, per la corretta ricostruzione delle diverse fasi in cui si era articolato il conflitto a fuoco, è stato il video rinvenuto all’interno del telefono cellulare di Giovanni Scalia, padre di Vincenzo Scalia, raffigurante parte dell’azione delittuosa ancora in corso di consumazione e che consentiva di comprendere che la fattispecie delittuosa e la stessa azione omicidiaria si era articolata quantomeno in due fasi. 

In sostanza, come già era emerso, si era trattato di un vero e proprio scontro armato tra esponenti del clan Cappello e dei Cursoti Milanesi originatosi in seguito al verificarsi di diversi e distinti episodi di contrasto accaduti nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti i fatti, episodi che avevano nutrito e acuito una radicata e storica contrapposizione tra i due clan, sfociata, infine, nella spedizione organizzata da esponenti di rilievo del clan Cappello nei confronti di Carmelo DI Stefano e del gruppo di soggetti a lui vicini appartenenti al clan dei Cursoti Milanesi.

L’intervista al col Rino Coppola, comandante provinciale Carabinieri

Operazione Centauri, intervista al col Rino Coppola, comandante provinciale Carabinieri
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