Mafia

Mafia, padre agente Agostino: “Faccia da mostro cercava Nino”

Il padre ha testimoniato al processo sull'omicidio del figlio e della moglie

Pubblicato 4 anni fa

“Mentre mio figlio Nino e sua moglie erano in viaggio di nozze, siamo nel luglio 1989, vennero a cercarlo due persone. Erano in moto, ebbero modi bruschi e quando gli dissi che non c’erano, stavano per andar via. Gli chiesi chi erano e quello che era in moto rispose: digli che siamo colleghi. Quello in moto non lo posso dimenticare: aveva la faccia lunga, come un cavallo. Il naso pronunciato. Il volto butterato, come se avesse avuto il vaiolo. Pensavo che fossero falchi, ma nessuno li conosceva”. Cosi’ Vincenzo Agostino, papa’ dell’agente di polizia Nino Agostino ucciso assieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto ’89, rispondendo come testimone al processo per il duplice omicidio nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.

Vincenzo Agostino ricorda – e lo ha sempre detto – il volto di quest’uomo, da lui definito “faccia da mostro” e poi identificato in Giovanni Aiello, un ex poliziotto e collaboratore del Sisde. “L’ho riconosciuto anche in presenza”, ha detto rivolgendosi alla Corte di assise presieduta da Sergio Gulotta. L’ultimo confronto “all’americana” si e’ svolto nell’aula bunker dell’Ucciardone nel febbraio 2016. Giovanni Aiello, ritenuto un killer borderline tra criminalita’ organizzata e apparati istituzionali vicini ai servizi, e’ deceduto nel 2017. L’anziano testimone ha inoltre ricordato dei tentativi di depistaggi alle indagini sull’omicidio dell’allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, che “mi convoco’ di notte in questura quasi minacciandomi di dirgli tutto quello che sapevo perche’ altrimenti rischiavo la galera. Non ci ho visto piu’ – ha detto rispondendo alle domande dei sostituti pg Gozzo e De Giglio – gli ho detto che erano loro che dovevano indagare e dirmi quello che era successo, a partire dagli appunti di Nino in cui c’era scritto ‘se mi succede qualcosa andate a controllare nel mio armadio’. Quegli appunti io non li ho mai visti”. “Paolotto (Francesco Paolo Rizzuto, ndr), lo chiamavamo cosi’ perche’ lo conoscevamo fin fa piccolo quel 5 agosto – ha affermato Vincenzo Agostino rispondendo all’avvocato di parte civile, Fabio Repici – mi chiedeva con insistenza dov’era Nino e quando tornava. Paolotto aveva dormito a casa nostra la notte del 4 agosto e aveva pranzato con noi. Mi chiese con insistenza di Nino che era di servizio e sarebbe tornato subito dopo avere smontato. Quando Nino torno’ a casa, con Ida, Paolotto non l’ho piu’ visto“.

In questo processo, che si celebra col rito ordinario, gli imputati sono Gaetano Scotto, accusato del duplice omicidio aggravato e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. Il boss Antonino Madonia, accusato del duplice omicidio aggravato, scelse il rito abbreviato ed e’ stato condannato all’ergastolo lo scorso 19 marzo. “Intendiamo dimostrare che l’imputato Gaetano Scotto ha pianificato ed eseguito con Nino Madonia il duplice omicidio. Vogliamo provare cio’ che e’ accaduto, a partire dai fatti: il poliziotto Nino Agostino svolgeva la ricerca di latitanti e per questo e’ entrato in contatto con ambienti dei servizi tramite l’ispettore e amico Guido Paolilli”: lo aveva detto, lo scorso 10 giugno il pg Domenico Gozzo, illustrando la tesi dell’accusa alla Corte di assise. (AGI)

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