Mafia

Procuratore Guido: “Mafia agrigentina ha grossa quota di responsabilità su latitanza Messina Denaro”

di Maristella Panepinto

Pubblicato 1 anno fa



La mafia agrigentina come si evince dalle ultime attività svolte dai Carabinieri del Ros ha avuto una grossa quota di responsabilità tanto che Messina Denaro è imputato proprio per questi fatti commessi nel gennaio 2021″ (il riferimento è all’indagine Xidy che, due anni fa fece luce sul mandamento mafioso di Canicattì, ndr.) 

É una conferma, rispondendo ad una specifica domanda di GrandangoloAgrigento, quella di Paolo Guido, procuratore aggiunto alla Dda di Palermo, sulle orme del boss Messina Denaro da un quindicennio.

Il legame tra l’ex primula rossa di Castelvetrano e la famiglia mafiosa agrigentina é lungo e largo. Connivenza, legami, protezioni, con al centro la mafia rurale e anche quella borghese e poi la conferma, da quella nota riservatissima dei Ros, che oggi hanno arresto il super boss, e che parla di un incontro tra l’uomo più ricercato d’Italia e il boss agrigentino Pietro Campo. Un incontro fatto in un ovile, del quale Campo riferisce a Leo Sutera, al tempo capo della famiglia mafiosa agrigentina. Proprio Leo Sutera sarebbe stato l’elemento fondamentale tra la mafia agrigentina e il super boss di Castelvetrano. Sutera sarebbe stato il vero snodo degli interessi del latitante su scala extra-provinciale, emergendo come esponente apicale di Cosa Nostra agrigentina e confermandosi quale interlocutore privilegiato e di pari livello dell’omologo capo della provincia di Trapani. Poi, nel luglio del 2012, l’arresto di Sutera e la profonda spaccatura nella Dda di Palermo. L’allora procuratore aggiunto Teresa Principato sosteneva che Sutera servisse libero, per arrivare dritti e in fretta all’arresto del super boss. Fu un affaire difficile da risanare tra i corridoi del Palazzo di Giustizia di Palermo.

I recenti arresti “Xydi”, con lo smantellamento della famiglia mafiosa di Canicattì, sono, semmai ve ne fosse bisogno, l’ulteriore conferma delle strette connivenze tra la cosca agrigentina e Matteo “U Siccu” ovvero “Diabolik”.

In conferenza stampa, alla chiesa San Giacomo, nel quartiere generale della caserma Dalla Chiesa di Palermo,  una folla senza pari di giornalisti. A rispondere alle domande i due giudici, che hanno condotto le indagini, il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, il procuratore aggiunto Paolo Guido, quindi il comandante dei Ros, Pasquale Angelosanto, il comandante del primo reparto investigativo dei Ros, Lucio Arcidiacono e il comandante della Legione Carabinieri Sicilia, generale di Divisione Rosario Castello.

“Un colpo importante é stato centrato oggi, dice il procuratore De Lucia, ma parlare di vittoria generale sulla mafia no. Sappiamo bene che da subito occorrerà indagare sull’erede di Messina Denaro.”

Lui, Matteo “u Siccu”, uccel di bosco per trent’anni, probabilmente tutti trascorsi nel suo adorato territorio siciliano e trapanese in particolare, dove era mitologicamente definito come “il reuccio”, il deus capace di muovere cose, persone e grossi affari seppure da super latitante, da ricercato eccellente.

“Lo proteggevano i fedelissimi, prosegue De Lucia e non é escluso che tra questi vi fosse anche certa mafia borghese.”

Così il procuratore di Palermo tira in mezzo una parola chiave. Quanta protezione ha avuto, in trent’anni, Messina Denaro anche da certi ambienti “bene”, diciamo pure istituzionali?

“Si indaga, si indaga a tutto campo.” Prosegue il procuratore capo.

E la clinica Maddalena? C’è l’ombra di qualche favoreggiatore?

“Al momento no, risponde De Lucia, sebbene le indagini procedano a tutto campo. Tenete conto che Messina Denaro si presentava in clinica con una carta di identità in apparenza del tutto regolare.”

Il “nome nuovo” era quello di Andrea Bonafede, che esiste davvero ed é nipote di un boss, Leonardo. Ma al momento non ha implicazione nella vicenda.

Per arrivare all’arresto, centrali sono state le condizioni di salute del boss.

“Le intercettazioni ci hanno fatto seguire la pista ospedaliera, nell’ultima settimana, per stringere il cerchio, é stata cruciale una visita oculistica, fatta sempre alla clinica Maddalena. Messina Denaro soffre storicamente di strabismo e questo indizio ci ha dato l’ulteriore conferma.”

Come sta Messina Denaro?

“Si é presentato come

un qualsiasi sessantenne in apparente buono stato di salute.” Prosegue Paolo Guido.

Sebbene, alcune indiscrezioni assai accreditate, rivelano uno stato oncologico serio di Messina Denaro, con una malattia già al terzo stadio.

“É un criminale, ma é anzitutto un uomo. Già in questi giorni gli sarà garantita la chemioterapia e le altre cure che erano in programma, ovviamente in regime di carcerazione.”

Massimo riserbo sul carcere dove già é stato assicurato il super boss. Si tratta di un penitenziario di massima sicurezza, e nel toto nomi sciorinato dai cronisti, Tolmezzo, Milano Opera, Novara, Parma, Palmi, gli inquirenti non hanno fatto trapelare nulla.

Gli investigatori confermano però il ritratto “mitologico” del boss. Era noto per essere un amante del lusso e così si é confermato: abiti griffati addosso e al polso un orologio esclusivo del valore di 35 mila euro. Aveva anche quel certo appeal di provincia, quella riverenza riconoscente verso i medici che lo avevano in cura, ai quali, pare, periodicamente regalasse frutti della terra, arance, olio d’oliva e altre primizie. Fermo restando che, allo stato dei fatti, regge l’ipotesi che non vi siano state connivenze tra i sanitari e il boss.

Si indaga sull’autista, omonimo e non parente dei più famosi Luppino, mafiosi e fiancheggiatori storici del boss di Castelvetrano. L’uomo, di Campobello di Mazara, ha all’attivo solo piccoli precedenti penali.

L’auto proveniva dal trapanese, così confermano gli inquirenti, non volendo però aggiungere altri dettagli. Messina Denaro aveva con sé altri documenti di identità ed anche un telefono cellulare.

Un uomo qualunque, che circolava anche per le strade di Palermo, senza avere mai provveduto, contrariamente a quanto si credeva, a cambiarsi i connotati. Era lui, Matteo Messina Denaro, con il suo riconoscibilissimo “occhio di Venere”, certo gli anni in più ad invecchiarlo, quel giaccone “di montone” alla moda di una volta e l’orologio di lusso al polso, a confermare che malgrado tutto, la velleità da principe della mafia é rimasta intatta.

Il boss é in carcere ed in tanti sicuramente tremano, anche oltre la Sicilia.

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