Mafia

Rita Atria, la “picciridda” che mise in ginocchio la mafia del Belice

Quando Rita seppe della morte di Borsellino si lanciò dal settimo piano di una palazzina

Pubblicato 3 anni fa

Ricorre oggi, 26 Luglio, l’anniversario della morte di Rita Atria, la ragazzina che con la cognata, Piera Aiello, svelò alla magistratura i segreti e i nomi dei protagonisti della guerra di mafia nel Belice. Una settimana dopo la strage di via D’Amelio, in cui perde la vita il giudice Borsellino, Rita Atria si uccide a Roma, dove vive in segreto, lanciandosi dal settimo piano di un palazzo di viale Amelia, 23.

Rita, non t’immischiare, non fare fesserie” le aveva detto ripetutamente la madre, ma, Rita aveva incontrato Paolo Borsellino, un uomo buono che le sorride dolcemente, e lei parla, parla…racconta fatti. Fa nomi. Indica persone, compreso l’ex sindaco democristiano Culicchia, che ha gestito e governato il dopo terremoto. Nel 1985, all’età di undici anni Rita Atria perde il padre Vito Atria, mafioso della locale cosca ucciso in un agguato. Alla morte del padre Rita si lega ancora di più al fratello Nicola ed alla cognata Piera Aiello. Da Nicola, anch’egli mafioso, Rita raccoglie le più intime confidenze sugli affari e sulle dinamiche mafiose a Partanna. Nel giugno 1991 Nicola Atria viene ucciso e sua moglie Piera Aiello, che era presente all’omicidio del marito, denuncia i due assassini e collabora con la polizia. Rita Atria, a soli 17 anni, nel novembre 1991, decide di seguire le orme della cognata, cercando nella magistratura giustizia per quegli omicidi. Il primo a raccogliere le sue rivelazioni è il giudice Paolo Borsellino (all’epoca procuratore di Marsala), al quale si lega come ad un padre. Le deposizioni di Rita e di Piera, unitamente ad altre testimonianze, permettono di arrestare numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e di avviare un’indagine sull’onorevole democristiano Vincenzino Culicchia, per trent’anni sindaco di Partanna.

Le parole di Pietro Grasso 

“Rita Atria aveva 17 anni, l’età dei sogni, della spensieratezza. Per lei non fu così: uccisero suo padre e suo fratello, affiliati di cosa nostra. Denunciò, con coraggio, quel che sapeva ai magistrati e per questo fu ripudiata dalla sua famiglia. Rita aveva un angelo custode, si chiamava Paolo, Paolo Borsellino. Lui non la lasciò mai sola, la ascoltò, la incoraggiò, le diede il sostegno necessario ad affrontare ostacoli insormontabili. Quando Rita seppe della morte di Borsellino sentì che nessuno l’avrebbe più protetta: si suicidò. Era il 26 luglio del 1992. Non compare negli elenchi ufficiali, ma per me è sempre stata un’altra vittima di Via d’Amelia”

Le parole di  Ignazio Cutrò testimone di giustizia

“L’anniversario della tragica morte della testimone di giustizia Rita Atria richiama la nostra attenzione sulla tutela che lo Stato riserva ai testimoni di giustizia, ai collaboratori di giustizia, ed ai rispettivi familiari.” Così Ignazio Cutrò testimone di giustizia “ A distanza di anni dall’approvazione della legge di riforma, fortemente voluta dalla Commissione Parlamentare Antimafia e dai testimoni di giustizia, poco o nulla è cambiato se non in peggio. La legge n. 6 del 2018 che avrebbe dovuto risolvere molti dei problemi relativi al programma speciale di protezione è risultato essere invece lo strumento di chi, nello Stato, considerano un peso I testimoni di giustizia quanto I collaboratori di giustizia. La commissione centrale del Ministero dell’interno, presieduta dal sottosegretario leghista Nicola Molteni ,ha assunto un orientamento così distratto rispetto alle denunce dei testimoni e collaboratori tanto da svilire il senso del loro sacrificio. Oggi- conclude Cutrò- del coraggio di Rita Atria, rispetto a questo Governo e alla sua indifferenza sul tema della lotta alle mafie, rimane solo il ricordo della pozza di sangue del suo suicidio. Lo Stato e le sue articolazioni, centrali e periferiche, hanno dimenticato il sacrificio di Rita.”

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