Licata

Licata, democrazia e istituzioni in panne

di Gaetano Cellura

Pubblicato 1 anno fa

Con una seduta (quella del 29 dicembre) sulla falsariga delle precedenti – di una minoranza cioè che fa la storia della città, vota in seconda convocazione alcuni provvedimenti importanti per il suo futuro soltanto con sette sì: i voti della metà della metà dei  presenti – il Consiglio comunale di Licata saluta il 2022 e si appresta a vivere, insieme alla giunta in carica, gli ultimi sei mesi del proprio mandato, di un grigiore politico senza precedenti e figlio di un progetto amministrativo fallito da almeno tre anni.

Nonostante tutto, l’impoverimento della democrazia a Licata e (in generale) lo scarso rispetto per le istituzioni da parte dei numerosi assenti in ogni seduta del civico consesso, istituzioni in panne, si sente il dovere di ringraziare i pochi consiglieri presenti, e soprattutto i rappresentanti dell’opposizione che permettono il legale svolgimento delle sedute e l’approvazione dei punti all’ordine del giorno.

Ma tutte quelle poltrone vuote nell’aula, quel disinteresse per la città sono ormai la dimostrazione plastica di un fenomeno di malcostume politico diventato una costante in questi ultimi cinque anni. Non si capisce perché ci si candida al consiglio comunale se poi lo si deve disertare e si deve venir meno e mancare di rispetto al mandato conferito dagli elettori. Che è quello – non dimentichiamolo – di rappresentarli, democraticamente e istituzionalmente, nelle pubbliche sedi.

Siamo di fronte a qualcosa di guasto nel processo di rappresentanza politica, se non proprio di fronte a una sua vera e inconfutabile crisi, che non si può far finta di ignorare e su cui intervenire se non si vuole ancora di più svuotare di significato le assemblee pubbliche, i luoghi dell’esercizio della democrazia e delle decisioni riguardanti la vita e il decoro di una comunità.

L’aula consiliare di Licata vuota, o comunque riempita di poche presenze – spesso, lo ripetiamo, meno della metà degli eletti – genera malinconia politica perché dà la misura della crisi valoriale della città, dell’evaporazione della sua coscienza critica e propositiva cui forse non basteranno le nuove elezioni comunali a porre rimedio.    

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