Giudiziaria

“Tangenti all’Irfis”, società partecipata sarà parte civile 

A rischiare il rinvio a giudizio, dopo la chiusura delle indagini, sono un funzionario dell’Irfis, un consulente del lavoro di Favara e quattro imprenditori agrigentini

Pubblicato 2 anni fa

Falsa partenza dell’udienza preliminare a carico di sei imputati coinvolti in un’inchiesta che ipotizza un giro di corruzione all’Irfis, la società che si occupa di finanziare le piccole e medio imprese il cui azionista unico è la Regione Siciliana. Il legittimo impedimento del gup Angela Lo Piparo ha fatto slittare il procedimento al prossimo 22 febbraio quando sarà chiamata a decidere se disporre o meno il rinvio a giudizio. Intanto l’avvocato Giovanni Rizzuti, nell’interesse di Irfis, ha preannunciato che la società intende costituirsi parte civile. La tesi avanzata dalla procura di Palermo, con il procuratore aggiunto Annamaria Picozzi e il sostituto procuratore Claudia Ferrari, è un giro di tangenti mascherate da presunte consulenze professionali al fine di ottenere finanziamenti pubblici per le proprie aziende.

A rischiare il rinvio a giudizio, dopo la chiusura delle indagini, sono un funzionario dell’Irfis, un consulente del lavoro di Favara e quattro imprenditori agrigentini. Si tratta di Paolo Minafò, 57 anni, funzionario dell’Irfis; Antonio Vetro, 54 anni, consulente del lavoro di Favara; Giovanni Chianetta, 50 anni, amministratore dell’omonima società; Francesco Iacolino, 62 anni, amministratore della Soitek Srl; Angelo Incorvaia, 61 anni e Valerio Peritore, 56 anni, amministratori della Omnia Srl. Nel collegio difensivo gli avvocati Salvatore Cusumano, Gioacchino Genchi, Antonino Gaziano, Francesco Gibilaro e Rocco Gullo. L’inchiesta rappresenta la “costola palermitana” della nota operazione Giano Bifronte, eseguita nel 2017 dalla Guardia di Finanza di Agrigento.

Il reato contestato è corruzione aggravata in concorso e i fatti risalgono al biennio 2014-15. I personaggi chiave dell’inchiesta sono il funzionario dell’Irfis Paolo Minafò e il consulente del lavoro Antonio Vetro. Secondo la procura di Palermo sarebbero gli ideatori di un sistema di corruzione che permetteva di incassare tangenti per “sistemare” le pratiche mediante l’uso di una società di consulenze – la Intersystem srl – di cui Vetro era l’amministratore di fatto e Minafò il socio occulto. Gli imprenditori agrigentini, al fine di ottenere i finanziamenti, avrebbero dunque pagato somme di denaro – circa 78 mila euro complessivi – che venivano corrisposte alla società di consulenza. Per la procura di Palermo, quelle elargizioni, non erano consulenze ma tangenti. Ancora in corso, a distanza di quattro anni dall’apertura del dibattimento, il processo che riguarda il “filone agrigentino” e che vede 17 imputati. Il procedimento, che si sta celebrando davanti i giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, è stato notevolmente ridimensionato con l’intervento della prescrizione.

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