Mafia, processo “Montagna”: Ecco perchè il favarese Giuseppe Vella è colpevole
Condanna a 10 anni di reclusione
Sono state depositate le motivazioni della sentenza di Appello del maxi processo alla mafia della Montagna della provincia di Agrigento. Trentaquattro condanne, alcune riduzioni di pena, un solo “ribaltone” e diverse assoluzioni “pesanti” confermate anche in secondo grado. Si chiude così il processo d’Appello – celebrato davanti la seconda sezione penale di Palermo – scaturito dalla maxi operazione “Montagna” – eseguita nel gennaio 2018 dai carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento – contro le famiglie mafiose dell’agrigentino e del neonato mandamento.
Il personaggio “chiave” dell’intera inchiesta è Francesco Fragapane, figlio del boss ergastolano ed ex capo provinciale di Cosa Nostra Salvatore Fragapane, considerato dagli inquirenti il vero promotore del nuovo mandamento della Montagna: i giudici di secondo grado lo hanno condannato a 14 anni, riducendo la pena a venti anni di reclusione inflittagli in primo grado.
Leggeri sconti di pena anche nei confronti di Giuseppe Luciano Spoto, considerato boss di Bivona, e Giuseppe Nugara, ritenuto al vertice della famiglia mafiosa di San Biagio Platani (entrambi condannati a 16 anni dopo che in primo grado gli erano stati inflitti quasi venti anni). E’ scesa a 13 anni e 4 mesi (dopo una condanna a 17 anni in primo grado) la pena inflitta allo “storico” boss di Sciacca, Totò Di Ganci recentemente morto a Genova travolto da un treno.
In questo secondo capitolo Grandangolo continua a trattare nel merito le posizioni dei favaresi.
Giuseppe Vella. Si tratta di un imprenditore attivo, in agro agrigentino, nel settore dei calcestruzzi. Avverso la sentenza di primo grado, come appena anticipato, interponeva rituale atto d’appello la difesa tecnica di Vella. Venivano articolati motivi legati al merito e al trattamento sanzionatorio. Col primo ampio profilo di censura si segnalava l’esigenza di assolvere l’imputato dal reato associativo ascrittogli al capo B) essendo completamente carente la prova di una sua compartecipazione fattiva all’ambito criminoso organizzato di Cosa nostra. D’altro canto, si osservava in impugnazione, l’imputato non risulta mai formalmente affiliato alla consorteria e di questa carenza non può non tenersi conto in chiave assolutoria. Quanto ai suoi rapporti col defunto Calogerino Giambrone, si tratterebbe di relazioni legate ad una remota colleganza di lavoro, dal momento che il Giambrone aveva svolto l’attività di autotrasportatore, a lungo, proprio alle dipendenze della ditta di calcestruzzi del Vella. Il fatto – innegabile secondo lo stesso atto di appello – che Vella in molte captazioni sia stato ascoltato mentre intratteneva conversazioni, di tono negativo, riguardanti la pessima condotta di vita e morale di Giuseppe Quaranta, già referente mafioso in Favara e oggi collaboratore di giustizia, non sarebbe certo dipeso dalla comunanza associativa, quanto piuttosto da pregressi turbolenti contatti tra i due uomini. In passato, infatti, Quaranta aveva truffato l’odierno imputato Vella e da ciò dipenderebbero i toni rancorosi adoperati da quest’ultimo nelle intercettazioni. In ogni caso difetterebbero nella sentenza di primo grado trascrizioni realmente implicanti la responsabilità del prevenuto e l’emersione di segni tangibili capaci di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la propria fattiva contribuzione al contesto associativo, a ciò non potendo certo bastare l’isolata conversazione del 30 aprile 2015 nel corso della quale l’imputato faceva effettivamente, come ammetteva lo stesso scritto difensivo, un fugace cenno all’imminente scarcerazione del boss Francesco Fragapane. Del resto, si proseguiva in gravame, sarebbe operazione non corretta inferire la responsabilità di Vella per i fatti associativi dalla sua partecipazione alle estorsioni. Infine, e questo veniva assai rimarcato in appello, era stato lo stesso collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta, nel verbale dell’esame reso in data 17 ottobre 2019, in Roma, avanti il Tribunale di Agrigento (verbale del quale, per inciso, la Difesa chiedeva l’acquisizione) a escludere qualsiasi forma di affiliazione o di cointeressenza di Vella a Cosa nostra. La sentenza veniva gravata, con richiesta di assoluzione, anche con riferimento alle estorsioni ed alle truffe, postulandosi l’assoluzione anche per questi reati. Coi motivi subordinati si chiedeva l’esclusione delle aggravanti di cui all’art. 416 bis, la concessione delle attenuanti generiche, una riduzione generale della pena, anche con riferimento agli aumenti per continuazione per i vari reati, aumenti giudicati eccessivi. Presentatasi in tal modo la piattaforma oggetto di questo giudizio di appello, ravvisa la Corte di dovere confermare integralmente – almeno nel merito – l’affermazione di penale responsabilità pronunciata in primo grado. Qui ci si soffermerà naturalmente solo sulla fattispecie associativa, con riferimento alla quale sono evidenti, proprio come ha chiarito il primo decidente della propria sentenza, i segni di responsabilità dell’imputato. In primo luogo non può che rimarcarsi, come ha suggerito subito la sentenza di primo grado, il quadro delle molte captazioni – e poco importa che quasi mai Vella sia un parlante diretto – in cui uomini d’onore del calibro di Calogerino Giambrone e Giuseppe Luciano Spoto e Giuseppe Nugara, di rilievo assoluto come risulta anche da altre parti di questa sentenza, parlassero dell’imprenditore Vella come di soggetto assolutamente addentro agli affari delle famiglie e dunque imprenditore disponibile a mettersi a disposizione per la penetrazione delle iniziative mafiose nella propria zona di competenza aziendale.
In appello si sostiene che le conversazioni con Giambrone o di Giambrone dipendessero da vecchi rapporti di lavoro tra lui e l’imputato, tuttavia basta leggere tutte queste captazioni – fedelmente riportate nella sentenza di primo grado nelle pagine citate – per avvedersi come non si parli affatto di lavoro, ma di dinamiche prettamente associative (responsabilità da assumersi quanto ai lavori in quelle contrade di referenti di Agrigento, incontri da avere con Vella per parlare di affari, ruolo del Fragapane, cointeressenze tra Vella e Quaranta). Giuseppe Luciano Spoto, da parte sua, aveva sempre manifestato uno specifico interesse per l’attività del Vella, considerandolo un imprenditore al servizio della famiglia. Si tratta di una dinamica tipica che si inserisce in quel sistema generale di controllo delle attività economiche esercitate nel territorio, rispetto alle quali l’associazione mafiosa avvia o rapporti di sopraffazione o, come nel caso di Vella di cointeressenza, trovando evidentemente la disponibilità dell’imprenditore a farsi fagocitare – per avere la strada spianata nei propri affari – nel perverso meccanismo criminale affaristico di Cosa nostra, con una condotta che chiaramente, affiliazione formale o meno, contribuisce ad implementare la forza penetrativa dell’associazione.
Prova vistosa del fatto che Vella ormai risultasse del tutto organico al contesto criminale giudicato in questo processo, si trova anche nella intercettazione del 30 aprile 2015. La breve captazione è emblematica e francamente basterebbe a sancire la penale responsabilità dell’imputato. Mette conto riportarla anche in questa sede. Nonostante in gravame, poiché evidentemente non sfuggiva la portata assai allarmante di queste parole, si provi ad edulcorare l’interesse di Vella per la recente scarcerazione di Francesco Fragapane (cioè il riorganizzatore del mandamento della Montagna, l’uomo che – salvo pentirsene – aveva dato larga mano al Quaranta, senza esserne ripagato adeguatamente) è evidente come si tratti di un passaggio più che rilevante. Se non fosse stato un membro attivo della famiglia mafiosa di Favara, Vella non avrebbe di certo avuto alcuna reale ed effettiva ragione per impegnarsi in una conversazione, per di più esponendosi con un personaggio del calibro di Calogerino Giambrone, che aveva a riferimento non solo o non tanto la scarcerazione in se stessa di Fragapane, quanto le aspettative nei confronti della reazione, prevedibile, di quest’ultimo nei confronti del deludente Quaranta che, dopo avere avuto per le mani il potere sull’intero mandamento, aveva deluso ogni aspettativa, dimostrandosi assolutamente non all’altezza del compito che lo stesso Fragapane gli aveva affidato. In ogni caso, vi sono altre captazioni il cui tenore e contenuto può essere riletto nella motivazione di primo grado. Sintomatica è quella del 25 giugno 2014, registrata in occasione di un incontro dell’imputato Vella con Calogerino Giambrone, Antonio Domenico Cordaro (esponente della ‘famiglia’ di San Cataldo) e Francesco Giordano (referente di ‘Cosa nostra’ per la provincia di Enna). Durante la conversazione si censurava, una volta ancora, la condotta di Quaranta che aveva acquistato, senza mai pagarla, una fornitura di stupefacente, offrendo in garanzia il proprio ruolo di vertice mandamentale di Cosa nostra, così esponendo l’intera organizzazione sia all’assunzione di un debito mai onorato, che al diffuso disdoro che ne era conseguito. A tale discussione partecipava attivamente anche il Vella con ciò dimostrando di essere completamente a parte delle dinamiche interne dell’associazione, e ad un certo punto egli, su Quaranta, si pronunciava così colloquiando col Giambrone. Di certo, come si prova ad insinuare in appello, non solo non si trattava di una conversazione – questa tra Vella e Giambrone – suggerita da vecchi rapporti di colleganza lavorativa, ma era anzi un colloquio allarmante, del tutto sintomatico dell’intraneità ormai piena di Vella al contesto associato del quale, anche solo in tal modo rafforzandone il vincolo solidaristico e con esso 1’operatività, egli era ormai parte dinamica e attiva, tanto da potersi permettere di interloquire sugli organigrammi ai più alti livelli, non certo per pregressi debiti non onorati dal collaboratore nei suoi confronti. Tanto era ormai organico alla famiglia di Favara, il Vella, che – e si rimanda alla captazione del 12 agosto 2015, trascritta nella sentenza di primo grado dopo l’incontro del 12 agosto 2015 tra Giambrone Calogerino e Giuseppe Spoto entrambi avevano convenuto che ormai l’impresa di calcestruzzi di Vella, almeno in provincia di Agrigento, avrebbe avuto la sponsorizzazione dell’onorata società. Ove tutto questo non bastasse, non si deve in ogni caso perdere di vista la piena partecipazione di Vella ai gravi reati estorsivi – dei quali approfonditamente si dirà, tutti aggravati, partecipazione, indiscutibile, che conferisce anche per questo imputato il senso ed il crisma di una compartecipazione fattiva che ridonda in responsabilità associativa piena. Pure un cenno meritano – perché anche questi hanno il loro rilievo – i vari servizi di osservazione e pedinamento che avevano, durante la fase delle indagini preliminari, consentito di appurare come l’impianto di calcestruzzi del prevenuto fosse sede prediletta per incontri mafiosi. Si tratta di dati di fatto oggettivi, che costituiscono altri importanti tasselli di ratifica del quadro accusatorio. Il collaboratore Quaranta in sostanza si è limitato a dire che Vella non gli risultasse formalmente affiliato (cosa del tutto irrilevante) e che in ogni caso, nella riorganizzazione della “nuova” famiglia favarese – secondo quel che era l’originario progetto di Fragapane – l’imputato non avrebbe trovato particolare spazio. Sono dichiarazioni sostanzialmente neutre che in ogni caso non spostano di una virgola le oggettività che si sono vedute, con la correlata indubbia responsabilità associativa. Venendo all’esame dei motivi subordinati relativi al trattamento sanzionatorio, con riferimento alla considerazione del rilievo dell’aggravante legata alla disponibilità di armi, che va mantenuta ferma, non si può fare altro in questa sede eh rimandare alle considerazioni generali dedicate all’argomento, e·suffragate dai soffermi di legittimità colà citati. Lo stesso è a dirsi per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sulla mancata concessione delle quali, analogamente, ci si è a lungo già dilungati nella parte generale di questa sentenza. Va invece esclusa anche per Vella, sempre in virtù delle considerazioni generali svolte nei paragrafi introduttivi di questa sentenza, l’altra aggravante di cui all’art. 416 comma VI cp. La pena inflitta in primo grado, al netto di queste considerazioni, va dunque ridotta (per tutti i reati vincolati per continuazione) solo a cagione della detta esclusione ad anni dieci di reclusione, equa comunque risultando, in tutte le proprie componenti determinative, la sua computazione originaria






