Cultura

“I due papi” solo turisti teatrali ad Agrigento?

Calato il sipario  resta l’interrogativo se anche “I due papi” passino invano sulla vivibilità di Agrigento.

Pubblicato 6 mesi fa

Era iniziata col “botto” la stagione teatrale del “Pirandello” con quel “Todo modo” di  Leonardo Sciascia e Matteo Collura. Circa tremila gli spettatori compresi nelle matinée per le scuole. Un  fugace sondaggio ci informa di un dibattito che si è svolto in una classe del nostro liceo e poco più di 40 libri venduti  del romanzo sciasciano. La decadenza intellettuale e politica non tollera più di tanto e tutto passa e scivola come gocce di pioggia sulla impermeabile e impiegatizia Agrigento, una città dove ci fu un tempo in cui si svolgevano dibattiti plurali nelle tv mentre oggi impazzano soliloqui pubblicitari e persino nei blog cronache e intervistine con lo smarthphone che durano meno dei tre minuti canonici dei telegiornali.

L’altra sera al “Teatro Pirandello” un altro passaggio col “botto”: “I due papi” di Anthony Mac Carten che prende le mosse dalle dimissioni di Benedetto XVI avvenute nel 2013 e l’interpretazione di Giorgio Colangeli (Papa Ratzinger), Mariano Rigillo (Papa Bergoglio), Anna Teresa Rossini e Ira Fronten nel ruolo delle due suorine che assistono i due papi. Incantevole e necessariamente portatore degli imbarazzi della Chiesa, il ruolo di queste suorine e rimarchevole quello dei due papi  che si attengono ad un dialogo (tradotto da Edoardo Erba) composito e sceneggiato da Mac Carten su toni e stilemi umanamente universali (parecchio hollywoodiani), alla Otto Preminger, per intenderci, (ricordate “Il Cardinale?) e con sempre sullo sfondo  la rischiosa, intoccabile   materia prima che attiene al “Verbum caro factum est” e al sangue della croce. Col risultato di uno  spettacolo esteriore che lambisce genesi e  teologia secondo la fabbrica dei sogni e che fu scritto appena tre o quattro anni dopo le dimissioni di Ratzinger  mentre subito dopo della commedia  se ne impadronì il cinema con il film omonimo di Fernando Meirelles rispettoso e aderente al testo di MacCarten che ne scrisse anche la sceneggiatura.  

Ne viene fuori una valanga di parole, concetti ed emozioni per 120 minuti o poco più che vanno dagli allarmismi sulla pedofilia della suorina che assiste Ratzinger (fino al punto che il Papa le urla “basta”) alla odissea familiare della suora di Bergoglio che ha attraversato la dittatura argentina e che lo invoca a rimanere a difesa della comunità ecclesiale, fino alla clamorosa confessione di Ratzinger a Bergoglio (“Mi dimetto perché non sento più la voce di Dio”) che fa il paio con l’altra frase “siamo malati di superbia spirituale” . Tocchi di compiaciuta ironia e casalinghità con le suore sono sparsi un po’ dovunque (sdrammatizzando) dalla regia di Giancarlo Nicoletti con un Bergoglio che canticchia “Dancing Queen” degli Abba  e che poi sul finale “corromperà” Papa Ratzinger  invitandolo a  ballare un passo di tango argentino che ha preteso gli applausi del pubblico.

Calato il sipario  resta l’interrogativo se anche “I due papi” passino invano sulla vivibilità di Agrigento. Per fortuna ci sono oggi le conclusioni del recente Sinodo che vuole promuovere il dialogo tra fede e ragione, l’approfondimento della dottrina cristiana e indicando tassativamente una teologia che dovrà avere come punto di partenza un ampio rapporto con le scienze contemporanee, la cultura e l’esperienza umana per superare le “tendenze disumanizzanti”. L’Agrigento capitale della cultura 2025 troverà una qualche sede per rovistare nella sua identità e distinguendo  ciò che va dato a Cesare da ciò che va dato a Dio?

Foto di Diego Romeo

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