Onore a Giuliano Guazzelli, il “mastino” ucciso dalla mafia 29 anni fa
Ventinove anni fa veniva ucciso ad Agrigento, il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli.
Ventinove anni fa veniva ucciso ad Agrigento, il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli.
L’inizio della fine della brillante vita e carriera del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, toscanaccio della provincia di Lucca ma trapiantato nell’agrigentino – a Menfi – già a partire dal 1954, risale al 2 aprile 1992. Due giorni prima del suo massacro. A Monserrato, quartiere satellite di Agrigento a confine con Porto Empedocle, viene rubato un furgone bianco con strisce azzurre targato Ag 341919. Sembrerebbe un banalissimo furto, uno di quelli come tanti ne avvengono soprattutto nei quartieri di periferia. Non sarà così. Perché quello appena rubato è l’ultima cosa che il maresciallo, insieme al volto dei suoi killer, vedrà.
Sono appena passate le tredici del 4 aprile 1992. E’ sabato, l’aria è calda proprio come una di quelle che si respira in piena estate, le strade sono semi-deserte così come gli uffici, i negozi della via Atenea. Anche il Tribunale di Agrigento (allora situato proprio in fondo al salotto buono della Città) è quasi vuoto. Al primo piano Guazzelli – a capo della polizia giudiziaria – sistema le ultime cose prima di mettersi a bordo della sua Fiat Ritmo color verde, destinazione Menfi (non prima di un ultimo giro veloce in Caserma) dove ad attenderlo c’è la moglie. Ma quel giorno il maresciallo non è solo per le vie di Agrigento. Qualcuno lo sta pedinando a bordo di un motorino, segue i suoi movimenti e li comunica. Stesso percorso di sempre: Tribunale, passaggio rapido in Caserma per poi riprendere la marcia dalla via Gioeni, salendo per la “Standa” e proseguire verso il Ponte Morandi.
Proprio al bivio che porta al quartiere di Monserrato riecco apparire quel furgone rubato nello stesso borgo appena quarantotto ore prima: il portellone posteriore del mezzo si apre ed una pioggia di fuoco travolge il maresciallo. Quattordici colpi sul cofano, nove fori sui vetri, il finestrino di destra disintegrato, il viso del maresciallo portato via dal piombo. Lo Stato deve e vuole reagire immediatamente, e lo fa, (sbagliando) seguendo le indicazioni di un discutibile pentito: otto mesi dopo l’esecuzione del maresciallo Guazzelli scatta l’operazione “Mastino” che porta all’arresto di quattro “picciotti” originari di Palma di Montechiaro indicati come esecutori materiali del delittazzo (e condannati all’ergastolo poi annullato). Ci vorrà Alfonso Falzone (pentito dopo esser rimasto ferito in un agguato alla trattoria “Lo Zingaro” del Villaggio Mosè), uno dei killer più freddi e spietati della cosca di Porto Empedocle, a riscrivere la verità di quegli attimi: per l’omicidio sono state inflitte sei condanne definitive al carcere a vita. All’ergastolo sono finiti Salvatore Fragapane, Joseph Focoso, Simone Capizzi, Salvatore Castronovo, Giuseppe Fanara e Gerlandino Messina.
Per leggere la storia di Giuliano Guazzelli, il “mastino”, bisogna prendere una boccata d’aria e poi buttare tutto giù in un fiato: dalle indagini sui corleonesi al fianco del colonnello Giuseppe Russo e al maresciallo Vito Jevolella fino all’operazione Santa Barbara, la prima vera offensiva contro la mafia in provincia di Agrigento, passando per la storica collaborazione con la giustizia di Benedetta Bono (“Ninetta scendi che dobbiamo parlare”)amante del boss Carmelo Colletti. Qualcuno, nel corso degli anni, ha provato anche a scalfire l’immagine e la memoria di questo splendido esempio. Ma fortunatamente, anche grazie alla silenziosa battaglia portata avanti da semplici uomini, tutto ciò non è avvenuto.
Grandangolo, anche oggi, lo ricorda con affetto e rabbia.