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Mafia, droga e abigeati: comandavano ancora Fragapane e i favaresi

Sei agrigentini coinvolti: tre condanne e tre assoluzioni. Con il dispositivo letto in aula dal Gup del Tribunale di Catania Ettore Cavallaro si chiude il primo capitolo giudiziario nell’ambito dell’operazione “Proelio”, condotta dal Comando Provinciale di Ragusa nell’estate 2017, che ha fatto luce su collaudati rapporti tra due famiglie di Cosa Nostra: Santa Elisabetta e […]

Pubblicato 5 anni fa

Sei agrigentini coinvolti: tre condanne e tre assoluzioni. Con il dispositivo letto in aula dal Gup del Tribunale di Catania Ettore Cavallaro si chiude il primo capitolo giudiziario nell’ambito dell’operazione “Proelio”, condotta dal Comando Provinciale di Ragusa nell’estate 2017, che ha fatto luce su collaudati rapporti tra due famiglie di Cosa Nostra: Santa Elisabetta e Comiso.
Venti anni di carcere sono stati inflitti a Francesco Fragapane, capo dell’omonima famiglia e pezzo da novanta della mafia agrigentina, Concetto Giuseppe Errigo, omonimo del primo in seno alla famiglia ragusana, Carmelo Battaglia, braccio destro di Errigo, e ai calabresi Giuseppe Piccolo e Vincenzo Politanò. Sei anni di carcere per Girolamo Campione, 41 anni di Burgio; cinque anni di carcere per Salvatore Montalbano, 26 anni di Favara.
Assoluzioni, invece, per Antonino Manzullo, 52 anni di Burgio, Roberto Lampasona, 41 anni di Santa Elisabetta, e Antonino Mangione, 38 anni di Raffadali. Questi ultimi, protagonisti delle cronache dell’ultimo decennio, sono ritenuti dagli inquirenti vicini alla famiglia mafiosa di Santa Elisabetta. Otto anni di carcere per Ambra Errigo, figlia di Concetto. Un discorso a parte deve esser fatto per Giuseppe Quaranta, 50 anni, di Favara: l’ex operatore ecologico, condannato a cinque anni e quattro mesi, ha deciso di collaborare in seguito ad un’altra operazione che da lì a breve avrebbe decapitato un intero mandamento: quello della Montagna.
Agrigentini e ragusani, dunque, insieme. Un’alleanza in nome di Cosa nostra che poggiava su interessi e traffici comuni. Un business legato al traffico di cocaina e all’abigeato che permetteva, tramite il furto di bestiame, di finanziare la ben più redditizia attività della droga.

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