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Maxi-inchiesta sulla n’drangheta, indagati 5 agrigentini (foto)

Chiusura indagini della maxi inchiesta denominata “Rinascita-Scott” che avrebbe fatto luce sugli interessi, i traffici e le collusioni della cosca Mancuso e degli atri clan di Ndrangheta della provincia di Vibo Valentia e che, lo scorso dicembre, sfociò in una colossale operazione con 334 arresti. Adesso la Dda di Catanzaro ha chiuso le indagini e […]

Pubblicato 4 anni fa

Chiusura indagini della maxi inchiesta denominata “Rinascita-Scott” che avrebbe fatto luce sugli interessi, i traffici e le collusioni della cosca Mancuso e degli atri clan di Ndrangheta della provincia di Vibo Valentia e che, lo scorso dicembre, sfociò in una colossale operazione con 334 arresti. Adesso la Dda di Catanzaro ha chiuso le indagini e le persone coinvolte sono ben 479.

Cinque gli agrigentini coinvolti nella maxi inchiesta accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanza stupefacente con l’aggravante di aver agevolato la ndrangheta: si tratta di Andrea Puntorno, 43 anni; Bruno Di Maria, 56 anni; Giuseppe Di Maria, 53 anni; Calogero Rizzo, 50 anni, ex carabiniere di Raffadali; Patrizia Fiorillo, 48 anni, compagna di Puntorno. 

Andrea Puntorno e Calogero Rizzo

Secondo gli inquirenti, dunque, Andrea Puntorno e gli altri quattro agrigentini avrebbero costituito un gruppo di riferimento della cosca di Zungrì nella “piazza” di spaccio di Agrigento, destinataria di diverse forniture da parte di Gregorio Niglia, alias “Lollo”, ritenuto esponente della cosca di Zungri guidata dal boss Accorinti, così rappresentando per l’associazione uno stabile e costante canale di smercio dello stupefacente.

(Quasi) tutti nomi “conosciuti” alla Dia di Agrigento, guidata dal vicequestore Roberto Cilona, che nel marzo 2019 eseguì l’operazione “Kerkent” contro il clan Massimino individuando e scoprendo il “canale calabrese” di approvvigionamento della droga che – alla luce della chiusura indagini della Dda di Catanzaro – emerge essere la cosca di Zungri. Droga che, secondo gli inquirenti, proveniva dal Brasile e dall’Albania. Dal Paese sudamericano, la locale di ‘ndrangheta di Zungrì – di cui Niglia è ritenuto affiliato – importava cocaina attraverso alcune ditte di import-export di marmi, niobio e manganese. La cocaina raggiungeva poi importanti piazze di spaccio sia in Toscana che in Sicilia, Piemonte e a Cosenza. Il canale albanese, invece, serviva a fare arrivare ingenti carichi di marijuana e hashish che entravano in Italia attraverso il porto di Bari, grazie a una rete relazionale costruita dai vibonesi con un gruppo di albanesi che viveva in Toscana. 

Nell’inchiesta Kerkent, il cui processo ormai è giunto alle battute finali col rito abbreviato, sono state chieste 28 condanne: sei anni nei confronti di Puntorno, dodici nei confronti di Rizzo, dieci nei confronti di Niglia. Adesso la chiusura di una nuova indagine. 

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