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Quaranta: “I figli di Carmelo Milioti estranei a Cosa nostra, non volevano avere rapporti con noi”

Come anticipato nel penultimo numero del giornale, questa settimana il pentito e ormai collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta è stato, nel processo denominato “Montagna”, al centro dell’attenzione della Prima sezione del Tribunale di Agrigento – “in trasferta” presso l’aula bunker del carcere di Roma Rebibbia per ragioni di sicurezza – presieduta da Alfonso Malato con […]

Pubblicato 5 anni fa

Come anticipato nel penultimo numero del giornale, questa settimana il pentito e ormai collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta è stato, nel processo denominato “Montagna”, al centro dell’attenzione della Prima sezione del Tribunale di Agrigento – “in trasferta” presso l’aula bunker del carcere di Roma Rebibbia per ragioni di sicurezza – presieduta da Alfonso Malato con a latere Giuseppa Zampino e Alessandro Quattrocchi.
Presenti anche il pm Alessia Sinatra della Dda di Palermo e gli avvocati difensori degli imputati Nino Gaziano, Giuseppe Barba, Maurizio Buggea, Antonio Mormino, Antonella Arceri, Daniela Posante, Carmelita Danile e Anna Mongiovì.
Ripercorrendo alcune delle fasi del suo tortuoso periodo mafioso, il cinquantunenne di Favara nelle giornate di mercoledì e giovedì scorso, per molte ore è rimasto attaccato alla ‘seggiola della deposizione’ dell’aula A del carcere di Via del Casale di San Basilio. Quasi sempre con lo sguardo concentrato ha spiegato come e con chi si facevano gli affari della malavita organizzata in provincia e fino al giorno del suo arresto avvenuto il 23 gennaio 2018 durante l’operazione della Dda di Palermo e dei Carabinieri del Reparto operativo di Agrigento, allora guidati dal ten. Col. Andrea Azzolini. Affari non puliti ovviamente: estorsioni, riciclaggio, traffico di droga, intestazioni fittizie. Ma non solo.
Come testata giornalistica, proprio in aula bunker con le celle laterali a fare da contorno alle dichiarazioni di un mafioso, Grandangolo ha seguito passo-passo la deposizione, ma anche l’aspetto più umano e collaborativo di quello che “au paisi” chiamano “Peppe”, Peppe Quaranta.

Il favarese racconta la sua storia, la sua storia in cosa nostra.

Una storia da uomo di cosa nostra che come dirà lui davanti ai giudici “sdigná u stomaco”.
Non sappiamo se fino in fondo, ma sicuramente il ‘neonato’ collaboratore di giustizia racconta molto della malavita organizzata e non sempre, come ci si aspetterebbe, vengono fuori cifre o giri di denaro da capogiro. A volte si parla di qualche centinaio d’euro e ci si confronta con frasi che non ti aspetti come: “anche nella criminalità c’è crisi”.

Racconta dei rapporti intessuti a a Favara e in provincia. Fa nome, svela fatti e retroscena.

Tutto questo Grandangolo lo ha raccolto e lo scrive sul suo settimanale.

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