Trasportano 5 tonnellate di cocaina ma vengono assolti: “Hanno agito perchè minacciati di morte”
Il tribunale di Agrigento, con una sentenza che certamente non può che definirsi sorprendente, ha assolto (quasi) tutti i membri dell’equipaggio della nave che ha trasportato 5 tonnellate di cocaina a Porto Empedocle: ecco perchè
Pur partecipando al trasporto di cinque tonnellate di cocaina, che ancora oggi risulta essere il più grande sequestro di droga mai eseguito in Italia, sono stati assolti per aver agito in stato di necessità. I membri dell’equipaggio, infatti, sarebbero stati costretti a caricare sulla nave e scaricare in mare lo stupefacente dietro la minaccia di morte rivolta anche ai loro familiari dei quali i trafficanti avevano acquisito informazioni, foto e indirizzi. La vicenda è legata al maxi sequestro di cinque tonnellate di cocaina, per un valore di quasi un miliardo di euro, avvenuto al largo di Porto Empedocle. Era il 19 luglio 2023. Tre mesi fa il tribunale di Agrigento, con una sentenza che certamente non può che definirsi sorprendente, ha assolto (quasi) tutti i membri dell’equipaggio Plutus, la nave porta container battente bandiera di Palau (piccolo arcipelago vicino le Filippine) che ha scaricato in acqua tonnellate di cocaina poi recuperata dal peschereccio calabrese “Ferdinando d’Aragona”. Il collegio di giudici, a fronte di pesanti richieste di condanna avanzate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha invece riconosciuto a 11 membri dell’equipaggio di aver agito per “necessità” e che le minacce da loro subite “avrebbero inciso in modo diretto sulla libertà di autodeterminazione”. La prima sezione penale, presieduta dal giudice Alfonso Malato, ha depositato le motivazioni della sentenza. Oggi, dunque, è possibile avere un quadro chiaro e lineare del perchè 11 persone (difese dagli avvocati Leonardo Marino, Giancarlo Liberati, Alessia Dzedzinska, Marco Scudo e Maria Paola Polizzi) che hanno trasportato cinque tonnellate di cocaina fino alle coste agrigentine sono state assolte perchè il “fatto non costituisce reato”.
IL MAXI SEQUESTRO
Le contestazioni elevate a carico degli odierni imputati prendono le mosse dal sequestro, avvenuto nelle coste siciliane il 19 luglio 2023, di un quantitativo eccezionale di cocaina, contenuta in 188 colli riversati in mare dalla motonave “Plutus” la sera del 18 luglio 2023 e caricati a bordo del peschereccio “Ferdinando D’Aragona”. Le indagini della Guardia di Finanza nascono dal ritrovamento di 56 chili di hashish nella disponibilità di due pregiudicati palermitani. L’attività investigativa ha così permesso di ricostruire i movimenti telefonici effettuati esclusivamente da utenze criptate olandesi. Si è così delineata, con il proseguo delle indagini, una ben radicata organizzazione criminale dedita al narcotraffico operativa tra la Sicilia e la Calabria. Il blitz scatta la notte del 19 luglio 2023. Gli investigatori tengono d’occhio la motonave Plutus, battente bandiera di Palau, piccolo arcipelago vicino le Filippine. L’imbarcazione effettua movimenti anomali, cambi di rotta, non comunica gli spostamenti alle autorità. Ed è proprio in quel momento che entra in scena il peschereccio “Ferdinando d’Aragona” che, a circa quaranta miglia dalle coste italiane, recupera una serie di pacchi gettati in mare. La Guardia di Finanza entra in azione e blocca il peschereccio, portandolo nel porto più vicino: Porto Empedocle. Vengono così rinvenuti ben 187 colli contenenti 24 panetti ciascuno: sono 5,3 tonnellate di cocaina. La nave Plutus, che aveva tentato una fuga, verrà bloccata in seguito e portata nel porto di Termini Imerese.
“HANNO AGITO PER NECESSITÀ POICHÈ COSTRETTI E MINACCIATI DI MORTE”
“Pur partecipando a vario titolo alle operazioni di carico e scarico della sostanza stupefacente in mare e, quindi, al trasporto della stessa, concorrendo consapevolmente nel delitto hanno agito in stato di necessità derivante da minaccia”. È quanto scrivono i giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento nella sentenza con la quale sono stati assolti 11 membri dell’equipaggio “Plutus”. Il collegio prosegue: “Risulta provato che gli imputati agirono sotto la minaccia altrui, esercitata informa verbale e continuativa da parte dei soggetti Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin, i quali rivesti- vano una posizione dominante a bordo del natante “Plutus”. Costoro minacciarono esplicitamente di morte i membri dell’equipaggio, prospettando, in caso di disobbedienza, non solo danni gravi alla loro incolumità, ma anche ritorsioni nei confronti dei rispettivi familiari. Tali minacce risultano connotate da serietà e concretezza, anche in considerazione del fatto che i due soggetti, con l’inganno, si erano precedentemente fatti consegnare i recapiti e i nominativi dei congiunti degli imputati, simulando l’esigenza di doverli avvisare in caso di avaria della nave.La condotta minacciosa, così strutturata, ha inciso in modo diretto sulla libertà di autodeterminazione degli imputati, inducendoli a uniformarsi alle disposizioni ricevute, in un contesto di coazione psicologica. Quanto al requisito dell’inevitabilità del pericolo, risulta evidente l’assenza di alternative lecite effettivamente praticabili, valutate in concreto e non in astratto. Gli imputati si trovavano in alto mare, all’interno di un natante battente bandiera straniera, privati dei propri dispositivi mobili, senza alcuna possibilità di comunicare con l’esterno o di richiedere l’intervento dell’autorità. Non solo: la nave era in navigazione, rendendo impossibile qualsiasi ipotesi di fuga, e anche nei rari momenti di sosta, come quello avvenuto nel porto di Las Palmas, un eventuale allontanamento, quand’anche fosse riuscito, non avrebbe eliminato il rischio di ritorsioni nei confronti dei familiari dei soggetti minacciati, dei quali i minaccianti, è bene evidenziarlo, possedevano nomi e indirizzi. Non risultava neppure praticabile, alla luce delle condizioni oggettive esistenti, un’azione di ribellione collettiva da parte degli imputati. Costoro, infatti, non si conoscevano tra loro, provenivano da Paesi diversi, e ciò ha certamente generato sfiducia reciproca e incapacità di coordinamento. Inoltre, la nave aveva dimensioni considerevoli (circa 140 metri di lunghezza), rendendo impossi- bile conoscere la posizione o le intenzioni degli altri membri dell’equipaggio, né era possibile escludere che Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin fossero armati.
I MEMBRI DELL’EQUIPAGGIO ARRESTATI DECIDONO DI PARLARE
Nel corso del dibattimento gli imputati hanno chiesto di rendere dichiarazioni spontanee. In tale sede costoro hanno ammesso di aver preso parte – o, per chi non vi ebbe diretto coinvolgi- mento, di essere comunque a conoscenza – alle operazioni di carico e successivo scarico in mare dei 188 colli contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina rinvenuti dalla Guardia di Finanza al largo delle coste siciliane. Hanno tuttavia precisato di avere acconsentito a parteciparvi unica- mente perché costretti dalle gravi minacce, formulate nel corso di una riunione svoltasi a bordo dell’imbarcazione, dagli imputati Erkan Tekin e Tahir Ergin Aycun. I dichiaranti hanno riferito: di essersi imbarcati sul natante “Plutus” nel periodo temporale compreso tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2023 per svolgere a bordo mansioni lavorative di vario genere; che la nave “Plutus “, partita dalla Turchia e giunta in Venezuela per scaricare un carico di farina, aveva dapprima fatto scalo nella Repubblica Dominicana – ove era salito a bordo Tekin Erkan – e, in seguito, a Trinidad e Tobago – ove era salito Aycun Tahir Ergin; i membri dell’equipaggio erano stati indotti da Tekin Erkan ed Aycun Tahir Ergin a fornire i recapiti e gli indirizzi dei propri familiari, con il pretesto che tali dati sarebbero stati necessari per poterli avvisare in caso di avarie, incidenti o altre problematiche connesse alla navigazione; informazioni che, come successivamente emerso, erano invece finalizzate a esercitare pressioni e minacce nei loro confronti. In tale occasione, poi, i due uomini avevano comunicato ai presenti che di lì a poco a bordo della nave sarebbe stata caricata una sostanza “pericolosa” e che, dinanzi ai tentativi di rifiuto o di opposizione manifestati da alcuni, Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin avevano espressamente minacciato i presenti prospettando un serio pericolo per la loro incolumità personale nonché per quella dei rispettivi familiari. Per i giudici il “narrato che nel corso del dibattimento è stato posto all’attenzione del Tribunale deve ritenersi pienamente credibile. Sotto il profilo della credibilità soggettiva, poi, va rilevato che non sono emersi dalle propalazioni rese in dibattimento pregressi rapporti di conoscenza tra gli imputati “accusanti” e quelli “accusati”. L’unico legame emerso risulta connesso all’attività lavorativa svolta congiuntamente a bordo della nave “Plutus”. Tale elemento, quindi, consente di escludere la sussistenza di intenti ritorsivi o calunniosi da parte degli imputati che hanno reso dichiarazioni etero-accusatorie e di ritenere tali soggetti pienamente credibili.” Le dichiarazioni rese dagli imputati “accusanti” si riscontrano reciprocamente, in quanto non solo convergono sul fatto materiale oggetto della narrazione e confluiscono su circostanze specificamente riferibili alla persona degli incolpati e alle imputazioni agli stessi ascritte, ma deve altresì escludersi che esse siano frutto di pregresse intese fraudolente ovvero di suggestioni o condizionamenti. È significativo rilevare, a tal proposito, che gli imputati “accusanti” non abbiano deciso di riferire tutti contestualmente quanto avvenuto a bordo del natante “Plutus”, ma abbiano manifestato tale volontà in maniera progressiva e autonoma. il primo soggetto a manifestare la volontà di “parlare con il Giudice” per riferire quanto accaduto a bordo dell’imbarcazione “Plutus” è stato l’imputato Katircioglu Erkan. Quest’ultimo, ristretto presso il medesimo istituto e collocato nella stessa stanza con Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin, nell’ottobre 2024 ha richiesto di essere sentito dall’autorità giudiziaria, dopo avere preventivamente interpellato l’Ambasciata del proprio Paese e subordinato la propria collaborazione all’adozione di misure rafforzate di sicurezza personale, comprensive del distanziamento fisico dai predetti imputati, nei cui confronti temeva ritorsioni. Un rilevante riscontro estrinseco al narrato degli imputati accusanti, inoltre, è rappresentato dagli accertamenti integrativi svolti dalla Procura della Repubblica sui dispositivi informatici in uso agli imputati e sequestrati a bordo della nave “Plutus”. Non è idoneo a incrinare la credibilità dei dichiaranti neppure il fatto che alcuni di loro, in sede di interrogatorio, si siano avvalsi della facoltà di non rispondere e che altri abbiano reso dichiarazioni senza riferire quanto poi narrato nel corso del dibattimento. L’interrogatorio, infatti, venne svolto subito dopo l’avvenuto fermo degli odierni prevenuti e deve ritenersi che, in quel frangente, co- storo ancora versassero in uno stato di timore e paura ingenerato dalle gravi minacce provenienti da Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin. Come risulta dalla relazione della Casa Circondariale “Antoni Lorusso” in precedenza richiamata, infatti, i primi imputati che manifestarono l’intenzione di parlare con l’autorità giudiziaria lo fecero soltanto dopo essersi assicurati l’adozione, da parte dell’istituto, di misure di protezione e di distanziamento dai soggetti minaccianti; circostanza, questa, che comprova ulteriormente lo stato di estrema paura in cui versavano gli imputati cosiddetti “accusanti”.
IL VERDETTO
Gli unici imputati ad essere stati condannati sono Ergin Tahir Ayacun, 36 anni; Erkan Tekin, 40 anni; Yanis Bargas, 21 anni. Ai primi due sono stati inflitti 25 anni di reclusione mentre al terzo – unico membro dell’equipaggio del peschereccio “Ferdinando D’Aragona – 20 anni di carcere. Assolti, perchè il fatto non costituisce reato, Yaroslav Malenkov, 76 anni; Rasim Nov Husey, 59 anni; Orkhan Orujvon, 35 anni; Mehmet Kirmizigul, 36 anni; Ebubekir Ozbilen, 51 anni; Nurlan Mirzammadov, 31 anni; Murad Osmanov, 30 anni; Elmar Hamzayev, 27 anni; Nuh Bal, 51 anni; Birol Altin, 43 anni; Erkan Katircioglu, 50 anni; Onur Coskun, 26 anni. Il pm Federica La Chioma aveva chiesto per questi ultimi la condanna “soltanto” per il traffico e la detenzione di stupefacenti e non per l’associazione a delinquere. Nello stralcio abbreviato del processo sono state condannate cinque persone: 16 anni di reclusione sono stati inflitti al capitano della nave Plutus, il russo Viktor Dyachenko, e a Vincenzo Catalano, comandante del peschereccio Ferdinando D’Aragona, di 35 anni di Bagnara Calabra. Condannati anche tre membri dell’equipaggio: Kamel Thamlaoui tunisino, 53 anni residente a Tricase (Lecce) che ha avuto 14 anni, mentre Elvis Lleshaj albanese e Samj Mejri tunisino, 48 anni, residente a Barcellona Pozzo di Gotto ne hanno avuti 12 . Inoltre sono state disposte multe da 100 mila euro per i due comandanti e 80 mila per i membri dell’equipaggio. Una volta scontata la pena per il capitano della Plutus e l’equipaggio il giudice ha disposto l’espulsione dall’Italia.