Canicattì

Mafia, Lo Giudice chiede revoca sorveglianza speciale

Nessun elemento concreto che dimostri l’attualità della pericolosità sociale. Con questa motivazione la difesa di Diego Gioacchino Lo Giudice, 73 anni, imprenditore di Canicattì, – rappresentata dall’avvocato Angela Porcello – chiede la revoca della misura della sorveglianza speciale disposta lo scorso settembre dai giudici del Tribunale di Agrigento. Lo Giudice, condannato nell’ambito dell’operazione “Apocalisse” per […]

Pubblicato 4 anni fa

Nessun elemento concreto che dimostri l’attualità della pericolosità sociale. Con questa motivazione la difesa di Diego Gioacchino Lo Giudice, 73 anni, imprenditore di Canicattì, – rappresentata dall’avvocato Angela Porcello – chiede la revoca della misura della sorveglianza speciale disposta lo scorso settembre dai giudici del Tribunale di Agrigento.

Lo Giudice, condannato nell’ambito dell’operazione “Apocalisse” per essere stato uno dei fiancheggiatori del boss Giuseppe Falsone, chiede in Appello la revoca della misura. In primo grado nei suoi confronti era stata respinta la richiesta di confisca dei beni per un valore di circa un milione di euro che i giudici hanno ritenuto compatibili. Indagini patrimoniali svolte su Lo Giudice ed i suoi familiari che avevano lo scopo di dimostrare una sperequazione tra la capacità reddituale del nucleo familiare e quanto realmente posseduto. Secondo gli inquirenti questa capacità reddituale è frutto di capitali di origine illecita o di riciclaggio. Elemento decisivo al fine della valutazione è stata la dimostrazione da parte della difesa di una cospicua somma frutto di vincite di gioco accumulata dalla famiglia nel corso degli anni.

La storia di Diego Gioacchino Lo Giudice è collegata alla scalata al vertice della mafia agrigentina del boss di Campobello di Licata Giuseppe Falsone: coinvolto nell’operazione “Apocalisse” del 2010, accusato di essere uno dei prestanome nonché fedelissimi di Giuseppe Falsone che aveva scommesso sul business della grande distribuzione, viene collocato da molti collaboratori di giustizia – da Di Gati a Sardino – alla cerimonia in cui venne formalizzata la nomina di capo provinciale di Cosa Nostra dello stesso Falsone. A quest’ultimo avrebbe anche fornito un covo in cui nascondersi durante la latitanza nella zona di Licata. Un altro episodio lo lega al boss di Campobello di Licata e viene fuori in occasione del suo arresto a Marsiglia quando, fermato dai poliziotti, esibì una patente nautica ottenuta con i documenti intestati a tale Giuseppe Sanfilippo Frittolà risultato essere in seguito un dipendente di un’azienda di Lo Giudice.

Su questi elementi si è fondata l’applicazione della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e sei mesi a cui oggi in Appello si oppone la difesa.

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