Canicattì

Sorveglianza speciale al boss Lo Giudice, confiscata “solo” un’azienda

I giudici della prima sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Agrigento, presieduta da Luisa Turco con a latere Agata Anna Genna e Gianfranca Claudia Infatino, hanno applicato la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e sei mesi nei confronti di Diego Gioacchino Lo Giudice, 73 anni […]

Pubblicato 5 anni fa

I giudici della prima sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Agrigento, presieduta da Luisa Turco con a latere Agata Anna Genna e Gianfranca Claudia Infatino, hanno applicato la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e sei mesi nei confronti di Diego Gioacchino Lo Giudice, 73 anni di Canicattì, arrestato nell’ambito dell’operazione antimafia “Apocalisse” considerato uno dei “fedelissimi” nonché  prestanome dell’ex capo mafia provinciale Giuseppe Falsone. Rigettata in gran parte la richiesta di confisca dei beni, già oggetto di sequestro nel 2015, avanzata dalla Procura di Palermo: il Tribunale ha infatti disposto la confisca della società in liquidazione “Ecolmax srl” e del relativo complesso di beni aziendali rigettando la richiesta per tutti gli altri beni consistenti in immobili e conti correnti. 

La difesa di Diego Gioacchino Lo Giudice, rappresentata dall’avvocato Angela Porcello, ha incassato con parziale favore la decisione di primo grado preannunciando ricorso in Appello soltanto per la misura della sorveglianza speciale e non per il provvedimento riguardante la misura patrimoniale. Indagini patrimoniali svolte su Lo Giudice ed i suoi familiari che avevano lo scopo di dimostrare una sperequazione tra la capacità reddituale del nucleo familiare e quanto realmente posseduto. Secondo gli inquirenti questa capacità reddituale è frutto di capitali di origine illecita o di riciclaggio. Elemento decisivo al fine della valutazione è stata la dimostrazione da parte della difesa di una cospicua somma frutto di vincite di gioco accumulata dalla famiglia nel corso degli anni. “Per il Tribunale – si legge nel provvedimento – “Tuttavia non può osservarsi che la possibilità originariamente ravvisata che le somme investite a monte per il gioco fossero di origine illecita e/o che dette vincite potessero essere frutto di operazioni di riciclaggio artatamente poste in essere, è rimasta una mera ipotesi astratta priva di ogni elemento oggettivo di riscontro”.

La storia di Diego Gioacchino Lo Giudice è collegata alla scalata al vertice della mafia agrigentina del boss di Campobello di Licata Giuseppe Falsone: coinvolto nell’operazione “Apocalisse” del 2010, accusato di essere uno dei prestanome nonché fedelissimi di Giuseppe Falsone che aveva scommesso sul business della grande distribuzione, viene collocato da molti collaboratori di giustizia – da Di Gati a Sardino – alla cerimonia in cui venne formalizzata la nomina di capo provinciale di Cosa Nostra dello stesso Falsone. A quest’ultimo avrebbe anche fornito un covo in cui nascondersi durante la latitanza nella zona di Licata. Un altro episodio lo lega al boss di Campobello di Licata e viene fuori in occasione del suo arresto a Marsiglia quando, fermato dai poliziotti, esibì una patente nautica ottenuta con i documenti intestati a tale Giuseppe Sanfilippo Frittolà risultato essere in seguito un dipendente di un’azienda di Lo Giudice. Tutti avvenimenti su cui si fonda l’odierna misura della sorveglianza speciale. 

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