Giudiziaria

Disabili psichici maltrattati e incatenati, citati in giudizio Regione e Comuni

Il processo scaturisce dall'inchiesta "Catene Spezzate"

Pubblicato 4 anni fa

Entra nel vivo il processo scaturito dall’inchiesta “Catenze Spezzate”, operazione che nel 2015 fece scattare alcune misure cautelari ipotizzando maltrattamenti nei confronti di alcuni disabili psichici all’interno di una comunità di Licata.

Le presunte vittime hanno citato in giudizio la Regione e i comuni di residenza che, in caso di condanna, dovranno risarcire le parti civili. La procura ipotizza che i disabili sarebbero stati sottoposti a gravi privazioni, fra cui il digiugno forzato e l’isolamento dai familiari, oltre che costretti a stare in ambienti sporchi e fare lavori degradanti come – ad esempio – la pulizia di una cisterna.

Tra gli imputati del processo, che si celebra davanti il giudice Giuseppe Miceli, c’era anche Salvatore Lupo, imprenditore favarese ucciso in un agguato nel giorno di ferragosto. Oltre a lui anche Caterina Federico, 37 anni; Angelo Federico, 33 anni; Domenico Savio Federico, 29 anni; Giovanni Cammilleri, 30 anni; Salvatore Gibaldi, 43 anni; Maria Cappello, 50 anni e Angela Ferranti, 53 anni, tutti di Licata.

Uno degli episodi principali al centro dell’inchiesta e’ stato immortalato dalle telecamere dei carabinieri, piazzate di nascosto dopo essere entrati nella struttura insieme ai pompieri simulando una fuga di gas. Nelle immagini si vede un paziente legato al letto con una catena. Ed e’ stato proprio questo episodio a suggerire agli inquirenti il nome del blitz “Catene spezzate” anche se la tesi della difesa (nel collegio gli avvocati Salvatore Manganello, Linda Sabia, Santo Lucia, Antonio Montana, Gaetano Timineri e Domenico Russello) e’ che la catena sia stata usata “per contenere il disabile ed evitare che commettesse gesti autolesionistici”. Si torna in aula l’8 febbraio per sentire i primi testimoni dell’accusa.

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