Giudiziaria

Il datore non versa contributi, Inps le revoca pensione reversibilità: dipendente vince ricorso 

Il provvedimento stabilisce che le irregolarità del datore di lavoro – anche gravi – non possono tradursi in una perdita di diritti per i dipendenti

Pubblicato 21 minuti fa

Il Tribunale del lavoro ha accolto i ricorsi presentati da una lavoratrice di San Cipirello, difesa dagli avvocati Gabriele Emilio Oliveri e Ylenia De Francisci, contro l’INPS. Il procedimento giudiziario riguarda il disconoscimento dei rapporti di lavoro che la donna e il marito defunto avevano svolto per anni presso una società agricola locale, dal 2014 al 2020. L’INPS, a seguito di accertamenti sull’azienda, aveva riscontrato irregolarità ed aveva cancellato le giornate lavorative dai rispettivi estratti contributivi e revocato la pensione di reversibilità in favore della ricorrente. 

Secondo l’istituto, le gravi irregolarità fiscali e contributive del datore di lavoro – tra cui debiti milionari, assenza di dichiarazioni fiscali e documentazione contabile inesistente – erano indizi sufficienti per ritenere non autentici i rapporti denunciati.

Gli avvocati Oliveri e De Francisci hanno invece dimostrato che i coniugi avevano prestato regolare attività agricola, producendo contratti, buste paga, comunicazioni obbligatorie e certificazioni fiscali. In aula sono stati ascoltati anche diversi ex colleghi, che hanno confermato la presenza quotidiana dei ricorrenti nei campi, oltre allo stesso datore di lavoro, che ha ammesso la loro effettiva attività ma anche di non avere versato i contributi dovuti. Il giudice, ritenendo tali prove decisive, ha riconosciuto la validità dei rapporti di lavoro e ha disposto il ripristino delle giornate contributive e dei diritti previdenziali connessi.

La decisione segna una vittoria importante per i due legali palermitani, che hanno visto accolte integralmente le loro tesi difensive. Ma il rilievo della sentenza va oltre il singolo caso: il provvedimento stabilisce che le irregolarità del datore di lavoro – anche gravi – non possono tradursi in una perdita di diritti per i dipendenti che hanno realmente prestato attività lavorativa. Un principio che, se confermato in altri procedimenti analoghi, potrebbe rafforzare la tutela di centinaia di braccianti agricoli coinvolti in situazioni simili in Sicilia e in altre regioni.

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