Giudiziaria

Processo a boss tratta esseri umani, chiesti 14 anni per il ‘Generale’; Pm attacca giornalisti, replica di Francese

La condanna a 14 anni di reclusione e 50 mila euro di multa per Mered Medhanie Yehdego, alias Tesfamariam Medhanie Berhe. Questa la richiesta dei pubblici ministeri Calogero Ferrara e Claudio Camilleri al termine della requisitoria al processo a Mered Medhanie Yedhego, detto “il generale”, accusato di essere a capo di una organizzazione transnazionale che […]

Pubblicato 5 anni fa

La
condanna a 14 anni di reclusione e 50 mila euro di multa per Mered Medhanie
Yehdego, alias Tesfamariam Medhanie Berhe. Questa la richiesta dei pubblici
ministeri Calogero Ferrara e Claudio Camilleri al termine della requisitoria al
processo a Mered Medhanie Yedhego, detto “il generale”, accusato di
essere a capo di una organizzazione transnazionale che gestisce il traffico di
esseri umani tra l’Africa e l’Europa. L’imputato è stato arrestato a Khartoum a
maggio 2016 su mandato della Procura di Palermo in collaborazione con la Nca
britannica e la polizia sudanese ed è stato estradato in Italia a giugno dello
stesso anno.

Fin dal
suo arrivo in Italia l’imputato – anche attraverso il suo legale, l’avvocato
Michele Calantropo – ha invocato l’errore di persona, sostenendo di essere un
profugo eritreo, falegname, di nome Medhanie Tasmafarian Behre. Il processo è iniziato
– dinanzi alla Corte d’assise – ad ottobre 2017.Il pm ha messo in evidenza
l’importanza delle dichiarazioni di Nuredin Wehabrebi Atta, primo
“pentito” in materia a cui viene riconosciuto lo status previsto
prima solo per gli ex mafiosi: “Fin dal 2015 la Procura di Palermo ha
escluso quella fotografia (quella con maglietta blu e crocifisso d’oro)
inserita erroneamente in una informativa. Noi abbiamo un collaboratore di
giustizia che il 29 aprile 2015 dice di averlo conosciuto a Catania, al Cara di
Mineo, nel 2014. Quel soggetto nella foto si chiama Habdega Sghedom. Lo dice
cinque volte e poi lo ha confermato qui”. Secondo i pm i tanti testimoni
sentiti al dibattimento – incluso il presunto fratello – sarebbero farciti da
tanti “ricordo”. Mentre l’esame dell’imputato finisce per essere, in
alcuni casi, “autoaccusatorio”. Il pm ha ricostruito la genesi
dell’indagini – da Glauco 1 a Glauco 2 – fino alla “proficua
collaborazione” con la Nca britannica, spiegando anche le tecniche di
“instradamento” dei flussi “che hanno consentito legittimamente
di intercettare telefonate dall’estero ma transitate su reti e strutture
italiane”. L’accusa ha sottolineato anche l’illegittima attivita’ portata
avanti – nel 2015 – dalla Guardia Costiera di Roma (“La famosa vicenda
della foto avviene attraverso gli illegittimi colloqui investigativi – ha detto
Ferrara – condotti dalla Guardia costiera con un soggetto ritenuto
inattendibile”). Secondo il pm sarebbe anche stata attuata una “campagna di stampa per coprire il
trafficante così come elementi contradditori e non corrispondenti al vero ed
indicativi delle attività di favoreggiamento e inquinamento a copertura
dell’imputato”.

Il pm ha
inoltre chiesto la condanna a 10 anni di reclusione (e 40 mila euro di multa)
per i coimputati Afomia Eyasu, Andebrahan Tareke e Arouna Said Traore e otto
anni di reclusione (e 35 mila euro) per Muktar Hussein e Mahammad Elias.Il 27
giugno parola alle altri parti, l’1 luglio arringa della difesa.

L’accusa
in aula è stata sostenuta dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri. Oltre a
Mered Yedego erano imputati a vario titolo di associazione a delinquere
finalizzata al favoreggiamento e al traffico di esseri umani Afomia Eyasu,
Andebrahan Tareke e Arouna Said Traore, per cui sono stati chiesti 10 anni,
mentre per Muktar Hussein e Mahammad Elias è stata sollecitata una condanna a
otto anni di carcere.

Il
processo nasce da una inchiesta della Procura di Palermo sui trafficanti di
uomini. I pm cercavano da anni quello che ritenevano uno dei capi
dell’organizzazione che gestiva la tratta, conosciuto dall’autorità giudiziaria
italiana come Mered Yehdego Medhanie, nome che potrebbe essere uno degli alias
usati dal “boss”. Fu la National Crime Agency britannica a dare agli
italiani l’informazione che il ricercato si trovava a Khartum, in Sudan. Gli
inquirenti sudanesi e inglesi accertarono che aveva in uso più utenze cellulari
una delle quali, intercettata dai magistrati palermitani, risultò collegata ad
alcuni trafficanti di uomini che vivevano in Libia. All’imputato vennero
sequestrati una serie di biglietti alcuni dei quali con numeri di telefono di
persone implicate nella traffico: 74 su 77 sarebbero, dicono i consulenti,
scritti di pugno dell’imputato. Anche l’analisi delle telefonate fate col
cellulare in uso all’eritreo avrebbero confermato i sospetti degli
investigatori: nel corso di diverse conversazioni, infatti, si parlava di
traffico di migranti. L’indagato ha sempre negato che fosse suo il cellulare
sequestrato e il suo legale ha sostenuto che quello arrestato non fosse il
ricercato, ma Medhanie Tesfamariam Bere, un falegname che si trovava in Sudan
con l’intenzione di raggiungere le coste africane per imbarcarsi per l’Europa e
che, dunque, ci fosse stato un clamoroso errore di persona.

 “Campagna di stampa per coprire un
trafficante? Giudizi pesanti che non ci si aspettano da un pubblico
ministero”.

E’ la
replica di Giulio Francese, presidente dell’Ordine dei giornalisti Sicilia, che
aggiunge: «Si possono avere opinioni
diverse ma sempre nel rispetto dei ruoli – dice Francese – I magistrati
facciano la propria parte, così come i giornalisti devono fare la loro,
raccontando i fatti e, quando questi non li convincono, ponendo domande e
sollevando dubbi. Piaccia o non piaccia è il loro mestiere, ci mettono la
faccia e se ne assumono le responsabilità personali e professionali».

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